Coez: una campagna marketing devastante e un album che fa male al cuore e bene alle orecchie. Leggi la recensione a cura di Marco Improta.
“L’amore come va?”
È scritto su un grande cartellone pubblicitario.
Il rosso è intenso. L’immagine, in parte coperta dal testo, di una ragazza che mangia un panino.
Io sono mano nella mano con la tipa con cui mi sto frequentando. Sembra una relazione che potrebbe diventare qualcosa di più serio.
“Che figo! Chissà cosa sponsorizza…”
“Si, bello. Forse un nuovo locale…”
“Se è un nuovo locale, quando apre ti ci porto a mangiare…”
I giorni passano. Ci vediamo poco perché lei lavora fuori Roma.
Un pomeriggio, dopo essere uscita da casa mia, mi manda una foto di un altro cartellone della stessa campagna. Questa volta dice:
“Non voglio mai quello di cui ho bisogno”
Io, ingenuo, le rispondo: “Voglio solo quello che mi piace… Tipo te.”
Bella la nostra storia. Così bella che iniziamo a discutere. E un giorno lei riparte senza prima aver fatto pace con me. E io ne vedo altri di quei cartelloni, che mi suggeriscono che qualcosa sta per accadere, perché dicono cose come “Non basta un elastico per tenerci insieme” o “Siamo in isolamento ma con un’isola dentro”.
Cerco su internet notizie su ‘sta campagna ma non trovo risposte: tutti l’hanno notata, nessuno l’ha capita.
Non so quale sia l’oggetto della questione. So solo che sta degenerando, proprio come la mia storia con la tipa.
Ora le cose con lei non vanno per niente bene.
Ripasso davanti al gigantesco “L’amore come va?”, lo stesso che avevo visto la prima volta mano nella mano con lei.
“L’amore come va?”
‘Na chiavica! Mi viene da urlargli contro…
Non si può più andare avanti così. Quando finalmente la rivedo decido di mettere il punto: “Prendiamoci del tempo e non sentiamoci per un po’” le dico.
Il giorno dopo me ne capita davanti uno nuovo. Uno che non avevo mai visto. Ed è una pugnalata al cuore:
“E se le stelle sono soli, penso a quanto siamo soli”
Mi fermo a guardarlo. E la gente che passa guarda me che son fermo a guardarlo.
Lo fotografo e mi viene quasi da mandarlo a lei, ma mi trattengo.
Io non lo so chi sei tu che stai raccontando la mia storia con la tipa sui cartelloni di Roma, so solo che devi essere un gran copywriter per uscirtene con frasi del genere. E qualunque cosa tu stia sponsorizzando, sappi che lo stai facendo benissimo, perché sono coinvolto e ho l’hype a mille.
Poi, un bel giorno, la luce.
L’album di Coez. Le frasi sono stralci delle sue canzoni.
E istintivamente prendo il telefono per chiamarla e dirglielo…
Poi mi ricordo che non è proprio il caso. Che ho preso tempo.
Però ora voglio andare in fondo alla questione.
Ora questo disco voglio ascoltarlo.
Mi sveglia il mal di gola e ho tanta rabbia da sputarti in bocca.
(…)
Tutto bene quello che finisce, anche se non bene, basta che finisce.
(…)
Allora io vado, non è stato male, ma neanche bene.
E finché è durato è vero ci si voleva bene
Da togliere il fiato.
Sono le prime parole della prima traccia, Mal di Gola.
Capisco subito che questa sarà una recensione parecchio dura da fare…
Stupido Coez.
E te lo sto dico con lo stesso livore con cui Homer lo dice a Flanders.
Lo so che state pensando: si ti senti colpito, ma è facile fare testi da teen drama. Musichetta giusta. Rime fighette. Ed ecco che l’indie ha colpito ancora.
E diciamo che potrei anche darvi ragione.
Però va detto che la trappola è ben progettata.
Dopo il singolo È sempre bello, che è già uscito da un po’ in radio, incappo in un pezzo come Catene:
Ci serve un elastico per tenerci insieme.
Non basta un elastico per tenerci insieme.
Io non ho catene
Ah, quindi è quello che intendevi…
E il pezzo è bello. Vacca boia, è più che orecchiabile.
E mi sale un timore: non vorrei che questa mi diventi la classica canzone che se la ascolto in auto con gli amici di ritorno dalla discoteca, mi sale la malinconia brilla e a quel punto tocca che qualcuno mi deve togliere il cellulare dalle mani. Perché potrei mandare messaggi sbagliatissimi. O scrivere lunghi post su Facebook ancora più pericolosi.
Ma la canzone è proprio bella.
Ascoltatela molto, voi che potete.
Stessa cosa vale per Fuori di me. È lì che dice Se le stelle sono soli, penso a quanto siamo soli noi mentre cammino.
I testi di ‘sto disco sono meravigliosi. Mentre le melodie invece non sono memorabili, ma cantabili si. E arrangiate pure bene.
Che palle Coez. Che palle! Hai fatto un album da sentire d’inverno e d’estate. Quando sei felice e quando c’hai i pensieri neri. Un prodotto ben congegnato. Una bomba di quelle con i chiodi dentro, pensata per far male.
E non era proprio il caso che io ora mi mettessi ad ascoltare pezzi del genere.
Bravo Coez. Bravo.
Però sei proprio uno str**o!
Poi un disco così me lo fai uscire in primavera. Con tutte quelle coppiette che iniziano a limonare sui muretti perché non fa più freddo e fuori è uscito il sole.
E se mentre passeggi ascolti un pezzo come Gratis, tutto il mondo ti sembrerà ancora più bello. E ti farà ancora più male.
Bravo Coez. Sempre più bravo.
E sempre più mannaggia a te!
Verso la fine del disco arriva pure la killer application: Ninna Nanna.
È lei che dice il famoso, primo, gigantesco L’amore come va?
L’amore come va?
Rispondo tutto bene ma con te non ci sto bene, no, non ci sto bene più.
Insomma Coez m’aveva spoilerato le prossime puntate della mia relazione su un cartellone pubblicitario.
Ora tutto torna.
Ora tutto si tocca.
Ora tutto ha un senso.
L’album è carino.
I testi bellissimi.
Un paio di tracce, forse pure tre, sono da applausi.
E io e lei ancora non ci siamo rivisti.
E non so cosa succederà.
L’amore come va?
What do you think?