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Giovane Giovane: La guerra e la Jugoslavija come fossero i postumi di una storia d’amore. Leggi l’intervista

“Nasce tutto da come la mia vita si stava svolgendo nella mia testa”

Intervista a cura di Giorgia Groccia

Giovane Giovane ha il mare in mente e le scarpe sul suolo romano, nonostante provenga dalla provincia di Livorno, per la precisione da un posticino affacciato su di una fabbrica gigantesca che ne conferisce il nome.

Un hard disk del Mac Air, note vocali sull’iPhone e un gran numero di canzoni prodotte su Logic pare siano la formula segreta del successo di un album ragionato e tradotto in un linguaggio poetico che sembrava essere dimenticato per lasciar posto ad altro, ma quest’altro non colpisca la musica di Giovane Giovane che fa del suo disco Jugoslavija un manifesto splendidamente artistico, un parallelismo tra la storia di un paese complicato e i rapporti umani altrettanto complessi.

Tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015 inizia a buttare giù le idee che poi diventeranno le canzoni del suo primo lavoro discografico, prodotto da Paolo Arzilli, Manuele Fusaroli e Francesco Bellani nello studio NHQ di Ferrara e nello studio Isastudio di Roma.

L’album, uscito venerdì 11 aprile, è una produzione Mistress Records con distribuzione Goodfellas.

La genesi, lo sviluppo e il declino dei rapporti come fossero un paese dilaniato dalla guerra in attesa della stasi, divengono gli ingredienti per veri nostalgici e per occhi e mani che sentono il bisogno di assaporare, toccare con le dita una felicità, una metamorfosi, le macerie, la scia chimica che ne consegue, ed è proprio il momento che consegue il conflitto il focus principale posto dal cantautore.

Il disco contiene 10 canzoni che parlano di relazioni, città, province, terrazzi da cui si vede il mare e persone che se ne vanno; di dischi masterizzati e personalità multiple, di Sarajevo e figli e cani mai avuti.

Noi di TGP abbiamo avuto il piacere di scavare meglio ed a fondo circa lo sviluppo di questo splendido album di Giovane Giovane, eccone il risultato:

 

Quando hai iniziato a scrivere i tuoi brani? Qual è stata la tua necessità primaria? 

Dal 2014, ma ci sono stati momenti diversi – il giro di Passante è del 2006, per dire. I testi sono cose nate tra 2014 e 2016. Il desiderio era quello di rispondere idealmente in quel momento, durato 2 anni, alla domanda “Come stai in questo periodo?” –  e stavo così, come suona l’album, e come le cose che l’album dice.

Il tuo album JUGOSLAVIJA tratta le diverse fasi dei rapporti interpersonali, dalla genesi all’epilogo. Ci racconti la storia dell’album, com’è nato, da cosa hai tratto spunto? 

Le canzoni sono scritte pensando a una persona, e a me stesso in relazione a quella persona e – scusami gioco di parole che magari confonde – in relazione al concetto di “relazione“, non soltanto con una persona specifica ma con la città, con le persone che abitano la città, con me all’interno di una città che non è la mia. Nasce tutto da come la mia vita si stava svolgendo nella mia testa.

Raccontaci il parallelismo tra la situazione storica e socio-politica dell’Ex Jugoslavia rispetto al tuo album e ai tuoi brani. 

Credo che ogni relazione – di qualsiasi tipo: con i propri famigliari, una donna, un uomo, un luogo, una passione – sia o almeno possa essere una potenziale Jugoslavija, con tutte le sue fasi tipiche. Quindi una cosa che contiene amore, che contiene rispetto, e piano piano ha piccole rotture, che diventano fratture, che diventano conflitti e poi guerre. Questo non è valido sempre (almeno spero), ma lo è potenzialmente, che è già tanto.

 

Le ferite e le macerie lasciate da una storia finita sono il motore dell’ispirazione o credi che l’ispirazione provenga anche da altro? Raccontaci i tuoi punti fermi nella scrittura. 

Punti fermi per scrivere: prima scrivevo meglio da triste, però appunto viene roba triste. Adesso scrivo meglio da sereno e se mi impegno. Punto fermo evitare giochi di parole, in generale tutto quello che mi imbarazzerei a cantare o a dire in giro che son cose che ho scritto io, evitare le furberie. L’ispirazione credo provenga da tutto, un titolo al telegiornale, la suoneria di un cellulare, il volantino di un ristorante – non penso ci sia un contenitore “ispirazioni“.

Tre album che ti hanno cambiato la vita e perché. 

Il primo, intorno ai 14 anni, Appetite for Destruction dei GNR.

Negli anni successivi, uno tra Figure 8, XO e Either/Or di Elliott Smith, e credo Nevermind.

Sono state 3 botte emotive molto forti.

Qual è il brano del tuo album che senti più vicino a te, per come sei oggi? 

Oggi sono in una situazione molto diversa rispetto a quella in cui ero quando ho scritto il disco. Paradossalmente ti direi Cantautore, che è l’unico pezzo “scherzoso” del disco, quello più leggero.

Hai un sound che mescola il pop al cantautorato al dream pop e così via; da quale idea sei partito per strutturare il suono dell’intero album?

Dall’idea di mantenere importanti le linee melodiche, e che non serviva sovraccaricarle. Il resto si è definito in studio.

Quali sono i tuoi progetti nei futuro prossimo? 

Suonare in giro, ascoltare dischi, iniziare entro un mese le pre-produzioni del secondo disco.

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