“Neanche da vecchi si sa cosa faremo da grandi?”
Recensione a cura di Umberto Matera
“Cosa faremo da grandi?” è il titolo del nuovo album di Lucio Corsi, il freak di scuola Picicca, prodotto da Francesco Bianconi dei Baustelle.
È il figlio illegittimo di Ziggy Stardust? È il sesto membro dei Roxy Music? È il cugino di Marc Bolan? O forse è il protagonista di Velvet Goldmine? No, è Lucio Corsi e l’unico vero fattore che ci impedisce di prendere in considerazione le precedenti opzioni è la carta d’identità: classe ’91, viene da Val di Campo di Vetulonia, in Maremma, lontano geograficamente dal Glam rock inglese e statunitense ma suo paese d’adozione musicale, dal quale riprende il gusto nell’abbigliamento (persino Gucci se n’è accorto, prendendolo con se per la sua campagna italiana) e negli ambienti musicali così eighties ma così attuali nella scrittura, che ci fa tornare in mente con un po’ di malinconia Battisti e De Gregori ma anche i Baustelle.
“Cosa faremo da grandi?” è il titolo del nuovo album del freak di scuola Picicca e mi sento di affermare che Brunori ci aveva visto molto lungo; il disco conferma le belle aspettative create con Vetulonia Dakar e Altalena Boy nel 2015 e col suo Bestiario Musicale nel 2017. Il nuovo lavoro di Corsi vanta alla produzione un collaboratore d’eccezione nonché suo personalissimo mito, Francesco Bianconi, una delle maggiori influenze rintracciabili fin dal primo brano e title track dell’album.
“Neanche da vecchi si sa cosa faremo da grandi?”
Già nel ritornello Cosa faremo da grandi? ha lo slogan del disco; generazionale, già candidato a verso dell’anno.
Lucio osserva in spiaggia, d’inverno, tutto ciò che d’estate non avrebbe mai notato, con particolare attenzione alle conchiglie (davvero, di cosa sono fatte le conchiglie?!). Menzione per un altro verso iconico dell’album, “senza nemmeno festeggiare la fine ha deciso di tornare all’inizio”; perché si, è vero: festeggiamo troppo le inaugurazioni e troppo poco le conclusioni.
Baricco: presente.
“Sentirsi soli in una grande città è più dura che nella mia terra
Ci sono troppe pareti, troppi muri dove sbattere la testa”
In Freccia Bianca viene fuori fin dai primi secondi il David Bowie star incontrastata del glam che vive ancora in Corsi, con un riffone di chitarra che sa di leggendario (ma anche, perché no, di Ivan Graziani). Non mancano però le origini del nostro Lucio che ricorda la bellissima solitudine della sua Vetulonia paragonandola alle grandi città nelle quali sentirsi soli è molto più facile (posso confermare, sono un neo-milanese e forse questo è il verso che più mi ha ricordato le mie origini).
The Man Who Sold The World: presente.
“Se corri all’incontrario ti riprendi il fiato”
Nel ritornello della brevissima L’orologio (2 minuti di brano, al passo col tempo e non solo con quello passato) è racchiusa forse l’immagine più originale, suggestiva e cinematica dell’album. Amicizie e tempo, due cose purtroppo passano e non sempre come vorremmo, però alla fine basta un orologio per rivivere il passato se ci pensate.
Benjamin Button: presente.
“Che il vento no, non era un freno ma una spinta”
Trieste è la storia di come qualcosa da sempre concepito come ostacolo può risultare un alleato fondamentale; dipende tutto dalle situazioni. Se il vento lo hai contro può frenarti, farti prendere freddo o più semplicemente darti fastidio, ma se poi lo hai di spalle ti spinge, ti fa andare più veloce. Un po’ come i cantanti sconosciuti che acquisiscono notorietà dopo la tanto odiata/amata apparizione in tv.
Bob Dylan: presente.
“Onde che girano e girando cambian volto
e dopo aver girato tutto il mondo tornano nel porto”
Cosa fanno le onde tutto il giorno? Se vieni da un piccolo paesino sul mare sicuramente te lo sei chiesto almeno una volta. Lucio te lo spiega con Onde, un brano che con la sue atmosfere etniche e quel riff di organetto di scuola Genesis finale è perfetto per viaggiare (e ricordare il nostro porto).
Foxtrot: presente.
“Ho saputo che ieri un vaso si è buttato da un terrazzo
Gridando “il vento è come il treno
Poetico ma rompe il cazzo”
Torna il vento. E purtroppo è vero, a volte rompe proprio il cazzo. Il blues narrante di inizio ventesimo secolo e lo storytelling dei nostri cantautori convivono in Senza titolo. Dal glam rock siamo passati al contrabbasso e alla marimba per poi arrivare ai fischi e al folk. Possiamo iniziare a definire questo disco come poliedrico, no?
Woody Guthrie: presente.
“C’era un mio amico che era troppo secco, col vento volava
I dottori dissero: “Appesantirlo è l’unica cosa da fare”
L’ingegnere si inventò un’armatura da sei quintali
Ma a nessuno venne in mente di costruirgli le ali”
Praticamente succede che a Lugano in autunno si spazzano via le foglie per ripulire le strade. Però effettivamente se ci pensate l’autunno vive nel nostro immaginario proprio attraverso quelle foglie secche lungo le strade.
Però se ci fosse un ragazzo così secco che per schiacciarlo basterebbero quelle foglie secche questo gesto sarebbe giustificato. Però se gli avessero costruito le ali tutti avrebbero potuto apprezzare l’autunno.
Amico vola via è un racconto, nell’accezione più comune ma allo stesso tempo più poetica del termine. Lucio vede cose che non tutti vedono.
Peter Gabriel: presente.
“Voglio vedere se quando sarò di là
avrò imbrogliato tutto, anche la gravità”
Scavare, scavare e poi scavare, fino ad arrivare in Cina. Ma che poi la gravità funziona anche in Cina? Chissà.
Il bambino che è in Corsi e nella sua Bigbuca ha sempre sognato di viaggiare da casa sua all’altra parte del mondo attraverso una buca, affrontando pietre troppo dure e la paura del buio, per vedere una volta uscito dal tunnel se il mondo che non conosciamo è davvero così diverso.
Gianni Rodari: presente.
“Dato che è trasparente
io la ritrovo nella musica o nella forma di una nuvola”
L’unica canzone d’amore del disco. L’amore può avere tante forme; una notte d’estate, la musica, le nuvole.
La ragazza trasparente perché questa ragazza non esiste, “non la vedo da un po’”, ma d’altronde “dato che è trasparente può esser tutto”. L’assenza di sezione ritmica e la presenza dell’orchestra portano il tutto fuori dal tempo.
Finale ad effetto: presente
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