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BARETTO | episodio 6 – Rendez-Vous: Delmoro quella voglia matta di incontrarsi

Articolo a cura di Umberto Matera.

 

Un’esortazione, una speranza, una voglia incontenibile. A questi elementi si aggiunge un’inarrestabile dance wave e la voglia di raccontare la propria concezione di distanza, quella umana, che si può creare tra le persone.

Ma poi avete presente quel senso di aspettativa che si prova prima di un nuovo incontro? Purtroppo può succedere che se ne rimanga delusi, un po’ come quando vai via da una festa che non ha soddisfatto le aspettative.

 

Tutto questo è Rendez-Vous (dal francese: incontratevi!), il nuovo album di Delmoro, uscito il 19 febbraio per Carosello Records. E quale miglior posto (ancora virtuale, purtroppo) per parlare di incontri?

 

Si torna al Baretto, dopo qualche settimana di assenza. Scusate, non succederà più (se non l’avete letto cantando chiudete subito questa pagina).

 

Musica pop mediterranea, ricca di sfumature e colori caldi. Quello di Delmoro si impone come un suono unico e molto personale nel panorama contemporaneo della musica italiana, figlio di esperienze e viaggi intorno al mondo. Musicista, e ancor prima architetto, nei suoi brani l’amore per il pop italiano (da Dalla ad Alan Sorrenti passando per Fossati) incontra quello per la disco più elegante e sensuale.

 

 

Sono proprio queste le colonne portanti di Rendez-Vous, ma ne parliamo meglio con lui. Ecco l’intervista completa a Delmoro, buona lettura!

 

“Rendez-vous”, che significa appuntamento. Un’immagine importante per il periodo storico che stiamo attraversando. I brani del disco sono nati da quest’immagine oppure riascoltandoli è stata proprio la musica a portarti al titolo del disco?

Era un’immagine che mi girava in testa per tutta la scrittura del disco. Come spesso accade per me, la musica è quel tramite che mi aiuta a raggiungere quello che mi manca, ed anche in questo caso ha aiutato a colmare mancanze.

 

Architetto e allo stesso tempo musicista: come convivono queste due parti di te nella vita di tutti i giorni? Pensi di aver trovato il giusto equilibrio?

Ora convivono nello stesso modo in cui convivono l’irrazionale e irrazionale, anche se non associo una di queste parole ad una disciplina piuttosto che all’altra. Si alimentano a vicenda e a volte è una bella lotta, credo che l’equilibrio non si raggiungerà mai.

 

 

Siamo nel 2021; nulla è più “semplice”, tutti abbiamo sempre voglia di sorprendere e ci vestiamo spesso di sovrastrutture non nostre per attirare le persone che ci interessano, rendendoci quindi il meno semplici possibile. In “Tra la tua schiena e gli scogli” parli di quanto una persona, nella sua semplicità, ci possa conquistare: tu pensi di essere una persona capace di conquistare attraverso la semplicità?

In “tra la tua schiena e gli scogli” parlo di quanto è bello disarmarsi, incantarsi davanti all’altro e non preoccuparsi di sentirsi “banali” davanti all’altra persona, anzi. Non so se sono capace di fare quello che dici, di sicuro la semplicità la cerco.

 

Ne “L’importante” parli della volontà di fare ordine, di individuare le priorità…ma invece poi “come sempre metto un disco e mi distraggo così non penso, magari canto”. Alla fine sei riuscito nell’impresa?

No.  Che poi il cantare, dall’essere una distrazione, diventa una necessità nel ritornello, tutto quello che mi rimane. Forse la priorità più grande è tornare a sé stessi, alla propria voce.

 

Com’è stato lavorare a questo disco con un gigante della produzione della musica italiana come Matteo Cantaluppi?

Con Matteo c’è un rapporto nato ormai da più di due anni, c’è amicizia e stima. Poi è una persona molto umile e attenta, si pone al servizio del progetto pur dando la sua impronta. È una sicurezza insomma.

 

In “In fondo” parli del senso di “casa”, ma anche di ritorno: qual è il “ritorno preferito” di Mattia Del Moro?

Ritornare dopo un lungo giro in bicicletta con amici, mettere su un disco e accendere l’acqua per la pasta.

 

Il tuo è un disco pieno di musica italiana, di anni 90, di disco music. Se dovessi individuare tre padrini spirituali di “Rendez-vous”, tre artisti che ti hanno ispirato più di altri per la scrittura dei brani, chi sarebbero?

Ivano Fossati, Frankie Knuckles e i Phoenix.

 

 

“Rendez-Vous” si chiude con una ballad, devo dire che non me l’aspettavo visto il mood generale del disco, mi hai sorpreso in positivo! In “Casa nuova” si riallaccia a “In fondo” ma aggiunge una componente amorosa importante. Sei riuscito a ricomporre il puzzle dei pezzi persi di cui canti nel ritornello? D’altronde sei un architetto, immagino che tu sia riuscito a costruire tanto a partire da quei pezzi.

No, credo che i pezzi se ne vanno inevitabilmente con i rapporti andati, se ne creeranno degl’altri. Comunque sì, quei due pezzi sono collegati dal senso di casa, credo molto difficile da definire per una generazione come la nostra che si è trovata a spostarsi molto, spesso più per necessità che per volontà.

 

Noi di Tutti Giù Parterre siamo indissolubilmente legati al mondo del live (no, non sto piangendo, lo giuro…*sigh). Come immagini questi nuovi brani in concerto? C’è qualche artista che hai visto dal vivo da cui “ruberesti” qualcosa?

Questi brani me li immagino immersi in una lunga live session, dove magari ci si perde nel sentire dove finisce un brano e ne inizia un altro. Mi sta piacendo molto il Tame Impala Sound System, il nuovo set dei Tame Impala che unisce bene la resa live con la necessità di qualcosa di più ristretto.

 

Domandone finale d’obbligo sul #quandosipotrà: quali sono i primi biglietti che comprerai appena potremo tornare ai concerti?

Penso di avere più voglia di ballare che di ascoltare un concerto. Quindi direi la prima club night che mi ispira in città.

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