“Ossa è un brano che parla del nostro rapporto di amore e odio verso la provincia in cui siamo nati e cresciuti.”
Intervista a cura di Davide Lucarelli
Ossa è il nuovo singolo de La Monarchia. Uscito lo scorso 7 maggio, è il primo della band per l’etichetta milanese Flebo.
Una storia d’amore, una città intrappolata nell’indefinita via di mezzo tra la metropoli e il paese sono le “ossa” del brano: un mood apparentemente disincantato si alterna fra strofa e ritornello fino a diventare, nello special finale, un grido generazionale che si interroga sulla complessità e, a volte, la frustrazione, di avere ambizioni da spendere in un mondo stretto come certe province italiane.
Abbiamo avuto l’opportunità di fare qualche domanda alla band ed ecco le loro risposte.
Ciao ragazzi! So che è una domanda banale per iniziare, ma, visto il nome della vostra band, sono troppo curioso. Come mai vi chiamate “La Monarchia”?
Il nome è stato scelto per rispondere all’esigenza di trovare qualcosa che avesse un impatto verso il pubblico. Studiando il trattato di Dante che si intitola “de Monarchia”, ci siamo innamorati a prima vista del sapore che la parola si portava dietro. Il nome ha quella dose di contraddizione e fascino decadente che suscita automaticamente un certo tipo di interesse nel pubblico. Quello che noi vogliamo esprimere con il nome “La Monarchia” non è una nobiltà materiale ma un nobiltà d’animo che speriamo di trasmettere con la nostra musica. Chi ci ascolta vogliamo che si senta capito e parte del gruppo.
Il vostro nuovo singolo si intitola “Ossa”. Ancora una volta vi chiedo di una scelta del nome. Come avete scelto il titolo? E poi, più in generale, come è nato il brano?
“Ossa” è un brano che parla del nostro rapporto di amore e odio verso la provincia in cui siamo nati e cresciuti. Spesso la città di provincia offre una vita piatta e che non da spazio a prospettive più ampie e sogni più grandi. In questo terreno arido siamo ci siamo impegnati musicalmente. In un certo senso il titolo “Ossa” parla proprio di questo: l’ossatura su cui siamo cresciuti e ciò che ci tiene ancora in piedi. Perché in fondo con le nostre esperienze personali che hanno riguardato viaggiare, stabilirsi in una grande città con tutte le sue possibilità, abbiamo imparato ad apprezzare ciò che noi lasciavamo a casa. In questa voglia di libertà e questo legame che ci tiene stretti al nostro passato, nasce il concetto della canzone. Il cambiamento, necessario nella vita di chi vuole inseguire un sogno, ti permette di metabolizzare e capire ciò che hai intorno e spesso ti fa apprezzare e vedere i lati positivi della realtà che ti circonda. Ossa può essere interpretata anche come un rapporto di amore fra due persone che hanno bisogno di un cambiamento importante nel proprio rapporto per potersi continuare ad amare.
Ascoltando i vostri brani, io vi definirei una band molto pop. Voi ritenete di avere un genere di riferimento? Quali sono i vostri riferimenti in campo musicale in questo momento?
Siamo nati e cresciuti negli anni ’90 e inevitabilmente abbiamo assorbito nella nostra adolescenza tutta quella musica che era caratterizzata da molte chitarre e band che masticavano sale prove e palchi come pane quotidiano. Ciò che abbiamo cercato di fare con il nostro nuovo singolo è di legare il nostro passato a un pop italiano. Abbiamo cercato di riportare le chitarre che caratterizzavano il rock e il brith-rock degli anni novanta al pop, cercando di farci spazio nel ramo alt pop italiano. Ultimamente ci stiamo avvicinando ad un pop più frizzante come quello dei The 1975 fondendolo insieme ad un sound brith come Oasis, Coldplay o Radiohead.
Nella scena musicale italiana ci sono sempre meno band. Voi come giustificate questa tendenza?
La nostra non è stata un’esigenza di colmare un vuoto che purtroppo la musica italiana ha da molto tempo. Noi, anche come singoli membri del gruppo, non vedevamo altra direzione musicale che la dimensione di band. In fondo in una band si vive una specie di condizione “familiare”: chi fa parte del gruppo diventa un membro della tua famiglia. E questo modo di fare musica è il più bello che ci possa essere. L’Italia è molto legata alle proprie radici musicali dove il cantate singolo portava avanti il suo progetto. Adesso (ultimamente è più evidente) stiamo vivendo un cambio di tendenza e sono nati nuovi gruppi che mostrano un lato più underground italiano, rimasto relegato in un recinto. È un cambio di mercato, ma anche generazionale che offre una prospettiva molto rosea nel futuro italiano.
Per concludere, vi faccio una domanda di color verde (speranza). Quale sarà la cosa che vi godrete di più nel momento in cui salirete di nuovo sul palco dopo questo brutto periodo di pandemia?
La dimensione del palco è il nostro habitat naturale. Come band viviamo solo in prospettiva di concerti live. Ciò che ci godremo di sicuro è il pubblico. Ci manca questo rapporto con il nostro ascoltatore e per noi sentire persone che cantano insieme a noi una canzone mentre suoniamo, non ha prezzo.
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