“Demoni” è il nuovo disco de La Belle Epoque ed ascoltandolo mi sono ritrovata improvvisamente nella vecchia macchina di mio padre, quella dove ho vissuto viaggi che a me parevano infiniti e che vivano di dischi che passavano a ripetizione. Non mi ricordo ovviamente neanche un titolo di quei dischi, eppure è ancora molto vivida la sensazione che mi lasciavano, quella di inquietudine e malinconia, come se anticipassi quella che avrei provato a ripensare a quei viaggi in macchina: io che da bambina non capivo una parola ma mi lasciavo invadere e basta. “Demoni” è proprio così, un disco che va ascoltato, assorbito, che non per forza verrà che capito, che non per forza significherà qualcosa in particolare, ma che sicuramente vi riporterà lì, in quella macchina che tutti abbiamo frequentato.
La band di Bergamo scuote con echi bausteliani facendoci addentrare nelle relazioni che finiscono, nelle dipendenze emotive, nella tristezza radicata. Un disco rock e cantautorale, di quelli che non vedevamo dai tempi d’oro dei Marlene Kuntz, un mondo lontano, come quello illuminato dai viaggi in macchina ad ascoltare sempre lo stesso disco, che colpisce per affondare. In un periodo storico di singoli e variazioni, non mi ricordavo più cosa significasse ascoltare un disco per rimanere nel mood, per venire perseguitati dai versi di “Noi di notte” per ore, io che una scusa in più per non fallire non ce l’ho. Se siete sulla soglia dei trent’anni questo disco farà ancora più male, perchè parla di cambiamenti, obiettivi e inevitabili fallimenti.
Dieci brani per scoprire una dimensione completamente nuova della band che, messa da parte l’istintività del primo album, riesce a traghettare l’ascoltatore in un viaggio in bilico tra ragione e sentimento, spaziando tra ritmiche incalzanti, arrangiamenti cangianti e suadenti melodie. Un disco che, ascoltato tutto, non potrà che inquietarvi. In questi tempi pandemici, non poteva uscire in un momento più adatto.
Giada Bianchi
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