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Sergio Andrei ci racconta il suo album di debutto “Pulp”

Esce venerdì 28 gennaio 2022 PULP (distr. Believe) l’album di debutto di SERGIO ANDREI, cantautore di Roma classe 1997. PULP svela un mondo tormentato e oscuro, una locanda alcolica in una Roma hollywoodiana sporca e malinconica: in questo disco si vuole raccontare un mondo agli eccessi, ma senza prendersi troppo sul serio. Amori platonici, risse, osterie, bicchieri, depressione.  Le tematiche sembrano particolarmente pesanti ma, assumono, nel contesto, una vena ironica e scanzonata.  PULP include i “pulp magazine”, i romanzi hard boiled, il cinema di genere, la letteratura e il mondo di vignette e copertine. All’interno di questo viaggio, si potranno conoscere i diversi personaggi che passano nei ricordi del protagonista e quindi nella locanda stessa. A volte sono persone, altre, emozioni o oggetti. Ricordi e dubbi.

Ecco cosa ci ha raccontato!

  1. Che cos’è “Pulp” per un cantautore romano?

 Pulp è di per sé qualcosa di non localizzabile. E’ il prendersi gioco dei nostri drammi. E’ il fare la pace con la nostra parte violenta.  Roma è in qualche modo pulp, in quanto estrema ma assurda. Una città faticosa, violenta ma ironica. Ridotta come un giornale fatto di polpa ma pieno di contenuti. 

  1. Esiste ancora la scena romana?  

Non saprei. Di sicuro, se esistessero scene, la romana sarebbe attualmente la più assortita. Probabilmente esiste una contemporaneità della città che riesce a legare fermenti nella capitale. Roma porta in sé un po’ gli estremi della decadenza italica. Milano riconosce una scena romana perché è quella che si sposta lì. Bologna e Genova faticano ad averne di nuove, nonostante la storia che si portano appresso, ma continuano ad avere un’aurea. Firenze fatica da sempre. Probabilmente non è culturalmente strutturata per comporre scena, in quanto l’underground si decompone in un’idea più ampia che è quella che ha ereditato il rinascimento. A Roma non c’è una scena con caratteristiche che compongano una cerchia, ma di sicuro c’è bisogno di scrivere. 

  1. Se fossimo nuovi in città, dove ci porteresti? 

Monte Ciocci. C’è la vista verso il centro ma un piede in periferia. C’è vicino il mio liceo. Ci sono i ricordi adolescenziali. I baci. Le birre. Le fumate leggere. La mia scritta storica propensa al panorama e il video con la mia banda.

  1. I personaggi e le storie che sono contenute in questo album di debutto sono molto particolari. Cosa c’è di autobiografico? 

Di autobiografico c’è un po’ tutto. Fortunatamente l’espediente artistico concede il superamento dei confini. Più estremizzo, più in realtà interiorizzo.

  1. Che cosa ti ha fatto avvicinare alla musica e cosa invece ti ha fatto rimanere? 

Mi sono avvicinato alla musica grazie al rito della doccia. Avevo uno stereo in bagno e prendevo dei dischi ogni volta. Gaber: cantavo sempre “Torpedo Blu”… De Gregori con “Pezzi”… poi Rino.. poi Vasco. Era bello stare sotto il flusso dell’acqua e metabolizzare parole. Da lì in poi, crescendo, ho sempre più sentito mio il mondo dei cantautori, soprattutto dopo la perdita di una figura maschile fortemente intellettuale e quindi la necessità di ritrovarla in qualcuno che mi cantasse la sua verità. Fatto rimanere? Non saprei. Non ho neppure iniziato veramente. Spesso, specialmente questo periodo, mi chiedo se la musica abbia ancora il suo senso. Almeno questa musica e come la vivo io. Spero di rimanere con lei o che lei rimanga con me.

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