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L’intervista più bella di sempre con Miriam Ricordi

Cibo e sesso è un album che somiglia moltissimo all’artista, che dice in merito “è come aver fatto il giro del mondo e poi essere finalmente tornata a casa, al rock, al motivo per cui ho iniziato a suonare”.

Estroverso, spregiudicato, a volte sopra le righe, spesso trascinante e orecchiabile (si veda il potente ritornello di Metabolismo), il sound di Miriam Ricordi risente del rock alternativo internazionale pur innestandosi nell’alveo della tradizione rock italiana: abbiamo così brani come Vieni a provare che potrebbero calcare i palchi di festival europei come Reading & Leeds e Glastonbury, e pezzi come Tutto al suo posto che si troverebbero a proprio agio anche all’Ariston.

 

Qui l’intervista più bella di sempre a cura di Emanuela Mereu

Ciao Miriam, devo dire che non ci si sente da troppo tempo (rido) Senti un po’, ci siamo dette moltissimo sul tuo disco Cibo e Sesso. Ma tra le due cose cosa preferisci?

Ciao, sentiamoci più spesso allora! Il mio numero ce l’hai?
Il palco! Amo il cibo e il sesso perché sono le cose che mi avvicinano di più all’appagamento che provo sul palco.

Quanto è importante per te la sensualità nel tuo suono e nel tuo modo di cantare?

La seduzione forse più della sensualità. La seduzione è un’arte che mi interessa.

Pronto dottore? C’è qualcuno? Alla fine lo hai chiamato davvero? O solo metaforicamente?

Continuo a scrivere canzoni invece di chiamarlo… ma prima o poi lo chiamerò.

 

“Vieni a provare” gli arancini o cosa? A chi hai fatto questo invito nella tua canzone? (si volevo dire Arrosticini)

Gli arrosticini intendevi? Anche! Tu li hai mai provati? In Abruzzo eh, sennò non vale.
Quando l’ho scritta ero partita da una provocazione diretta a una tipa… ma scrivendola, e soprattutto cantandola, la provocazione si è allargata ed è diventata un invito a liberarsi, ad ascoltarsi, a provare a seguire quello che si vuole più di quello che si può, mettere il piede oltre la linea gialla sui binari per vedere l’effetto che fa.

 

Questa intervista sembra un po’ fraintendibile, ma ci divertiamo. Ti esplode la testa per i troppi pensieri allora li hai messi in un brano?

La malizia sta negli occhi di chi guarda, no? Di chi legge, in questo caso!
In “Mi esplode la testa” non contenevo né i pensieri, né le emozioni. Un’incontenibile esplosione di sensazioni… è la storia di un amplesso, di quelli che ti fa dimenticare chi sei, da dove vieni, e qualsiasi altra cosa fuori dal perimetro della superficie sulla quale si sta consumando. Di quelli che ti fa urlare “Ti amo” anche se ci si conosce da appena poco più di due orgasmi. Non riesci più a pensare, quindi ha il potere di svuotartela la testa…
Comunque i pensieri mi affollano un po’ troppo le mente in genere, sì… svuotarla è raro ma salvifico. Tu come la svuoti?

A quei sordi davvero cosa vorresti dire a parte quello che hai scritto nella canzone?

Di andarsi a guardare il videoclip di “Siamo Sordi davvero” così -esplode la testa- anche a loro ahah!

 

Venezia è una città bellissima. Un po’ femminile, un po maschile. Ci sei stata o l’hai solo sognata?

Ci sono stata, ci sono stata diverse volte. La prima è stata come in un sogno. Surreale. Alcuni versi della canzone li appuntai una mattina, durante il mio primo soggiorno a Venezia.

Che sia tutto al suo posto non lo so, ma di sicuro ce ne andiamo con qualche acciacco. Ti senti nel tuo posto quando scrivi?

Quando scrivo sto malissimo! Scherzo! È un processo strano… a volte è doloroso, altre liberatorio. Quando scrivo mi sento più che altro di dare un posto a certi pensieri, a certe sensazioni, a certe storie. Sul palco sono al mio posto, più che in qualsiasi altro luogo nel mondo.

Ci vuole un po’ a metabolizzare il fatto che una donna abbia esplicitato la parola sesso in un prodotto discografico al mondo d’oggi. Tu che dici? Si andrà mai oltre i tabù inutili di questa società e si potrà parlare di sesso liberamente anche per le donne?

Siamo due donne e ne stiamo parlando, quindi in questo momento forse stiamo già andando oltre il tabù… no?
Ti giuro che io prima che uscisse il disco non ho pensato neanche un momento che potesse far strano che usassi la parola “sesso”, ci credi? Questo mi dà la misura di quanto il tabù sia imposto dall’esterno… e di quanto la rottura del tabù spesso parta da noi.
Ero piccola quando ho deciso che -senza la banana- avrei fatto e detto qualsiasi cosa avrei voluto.
In un’intervista ultimamente mi hanno dato dell’ “artivista”. Io non ho mai voluto fare musica politica, ma l’arte è un atto politico.

 

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