Otto canzoni e una composizione strumentale raccontano questo viaggio alla ricerca di sé e alla scoperta del mondo, trattano dei sentimenti e dei rapporti fondamentali dell’esistenza.
Pasqà è un musicista e giornalista napoletano, che vive in Libano da dieci anni. Nome d’arte di Pasquale Porciello, Pasqà ha da poco pubblicato il suo album d’esordio dal titolo “A vita è Suonno”, un’opera musicale complessa e contaminata, capace di raccontare la tradizione napoletana grazie alle suggestioni del Libano. L’album, registrato in presa diretta insieme a musicisti di Beirut, è un viaggio alla scoperta di sé e del Sé, e di tutto ciò ne abbiamo parlato con Pasqà.
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Potremmo definire il tuo progetto musicale trasversale, in quanto comprende varie tradizioni e sonorità. Da dove nasce l’esigenza di mescolare suoni e approcci musicali diversi?
Siamo abituati a pensare in maniera binaria, per cui parliamo di puro/impuro, tradizione/contaminazione. A vedere bene il mondo e la musica sono tutto un continuo scorrere, come il fiume di Eraclito nel quale non ci si bagna mai due volte. Io intendo questa ‘esigenza di mescolare’ come un naturale divenire dell’arte e della vita. Se la mia storia personale mi ha portato in medioriente, allora io utilizzo i linguaggi che conosco in maniera simbolica, un particolare che tenta di farsi veicolo dell’universale.
Dal Libano all’Italia: quali sono le sensazioni relative a questo ritorno, sia a livello umano che a livello artistico?
Ho voluto fortemente cominciare questo percorso da Napoli. In realtà la prima data è stata Beirut, ma quello è stato un passaggio naturale in quanto da quasi dieci anni è la mia realtà quotidiana. In Napoli ho invece visto quella contraddizione tra antico e nuovo, ritorno e scoperta di un mondo lasciato, sognato, immaginato, un luogo familiare ed estraneo, un’Itaca. Il mio percorso artistico e quindi umano non sarebbe potuto partire che da lì. Poi c’è stata Roma, un mondo sospeso tra mondi. Abbiamo suonato a due passi da Campo de’ fiori, dove sotto la cenere del rogo di Bruno c’è ancora fuoco vivo. L’idea è ora quella di continuare questo viaggio in Italia e altrove.
Canti in napoletano e l’album ha un taglio filosofico e concettuale. A che pubblico ti rivolgi? A quello della tradizione o a quello della ricerca?
Il napoletano deve essere inteso come lingua materna e in quanto tale una lingua che riesce a slegarsi dal significato per fluttuare nel significante. È lì il punto d’incontro. La mia arte tenta di rivolgersi a tutti perché ha sia una dimensione orizzontale, storica, che una verticale, metastorica. La mia ricerca è una voglia di semplicità, un lavoro per sottrazione. Dentro la mia arte convivono senza conflitto tradizione e ricerca. Non siamo noi, del resto, allo stesso momento quello che siamo stati e quello che saremo?
In cosa la musica del Libano e dell’Italia si assomigliano? E in cosa differiscono?
C’è un filo che unisce tutte le culture mediterranee. Scale, ritmi, sonorità riconoscibili. Il Libano ha poi una caratteristica fondamentale: è una terra di mezzo, un luogo di passaggio, un ponte tra mondi e popoli, cosa che ha provocato non pochi problemi al paese, ma che è anche la sua ricchezza. Così come l’Italia e Napoli in particolare. Se volessimo entrare nei dettagli potremmo parlare della specificità della musica orientale, tendenzialmente modale, e di quella occidentale, più tonale; anche lì, però, ci renderemmo conto che queste definizioni sono utili solo quando non sono vincolanti e che non sono nemmeno così precise.
Il tuo album è stato registrato in presa diretta: quanto è importante l’aspetto live nella tua musica?
È fondamentale. Registrare dal vivo significa riportare un momento non definitivo, naturale, una traccia irripetibile. Solo in questo modo mi è sembrato di poter aggirare l’ostacolo della riproducibilità fine a sé stessa e la sterilità della perfezione artefatta. La tecnica rende solo un servizio alla musica nel mio lavoro. C’è anche infatti l’aspetto di una musica che può essere suonata in acustico e in questa direzione va la scelta degli strumenti. E poi la musica è fatta dai musicisti, dall’esperienza mistica di condivisione di un momento e suonare insieme non necessariamente basta per fare musica. A me non interessano le note, interessa la Musica.
È attivo un crowdfunding per supportare Pasqà, al seguente indirizzo, dov’è possibile approfondire le tematiche affrontate nell’album e contribuire al progetto: https://www.produzionidalbasso.com/project/a-vita-e-suonno-life-is-a-dream/
Biografia.
Paʃqà è una sgrammaticatura, un’eccezione alla regola. La «ʃ» presa in prestito dall’alfabeto fonetico indica la pronuncia napoletana della «s» del nome Pasquale. Pasquale Porciello è un cantante, chitarrista, compositore, arrangiatore e paroliere. Vive da quasi dieci anni a Beirut dove lavora come analista politico esperto di Libano e Medioriente, giornalista (corrispondente dal Libano per Il Manifesto), docente di italiano all’Università Antonina e all’Istituto Italiano di Cultura. Ha studiato cultura, storia, politica e lingue dell’area mediorientale tra Italia, Regno Unito, Siria e Libano. Parla correntemente arabo, inglese, francese, spagnolo, portoghese e italiano, oltre ovviamente al napoletano. Ha frequentato le classi di Violoncello e Composizione al Conservatorio Cimarosa di Avellino e poi al Regio Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli. In Libano si esibisce come cantante, chitarrista e band leader di varie formazioni di musica jazz e popolare brasiliana o come solista ospite di varie formazioni nei jazz club e nei teatri più importanti libanesi. Ha una profonda passione per la canzone classica napoletana che da anni studio. Nel 2021 compaiono i suoi primi lavori come autore, con i primi due singoli: “Héloïse” e “Assafà”. “A vita è suonno” è il suo primo album.
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