E proprio alla soglia dell’estate, arriva l’estate invincibile di Milo Scaglioni, un disco che prende il titolo da una citazione di Albert Camus che, da ignoranti potremmo riassumere con: per quanto vadano male le cose, cerca sempre di tenere attiva quella luce, quell’estate invincibile che è lì, affondata nello sterno, e non permettere a nessuno di sradicarla. Ed è questo il mood dolce-amaro che ci accompagna lungo le 10 tracce del disco di Milo Scaglioni, in questo periodo anche bassista dei Baustelle e menestrello psichedelico della scena milanese. Tra i musicisti che hanno messo mano a questo disco anche Roberto Dellera ed Enrico Gabrielli, confermando questa bellissima amicizia che lega i musicisti e songwriter di quei tempi, che paiono così lontani, dei primi anni Duemila, dove tutto sembra in linea con una scena internazionale, e dove ci si riconosceva con un’occhiata nei locali. Scaglioni più che un disco presenta un mondo, quello delle birrette in mano, quello degli abbracci sudati anche se va tutto male, degli eterni dopo-lavoro che hanno senso solo con l’ennesima sbronza.
“Locked in a circle” che era stato anche uno dei singoli che ci aveva condotti qui, è il riassunto di chi è incastrato in questi giorni tutti uguali, dove persino la tristezza diventa ciclica, ma forse va bene anche così. Questo disco, che arriva nel momento giusto, nel momento in cui ho lasciato una città che ho amato per trasferirmi in una fredda capitale del nord, e mi ricorda quanto in passato mi sarei intestardito a non lasciare andare, a rimanere avvinghiato a ricordi e persone di quel mondo che ormai era già alle mie spalle, ad almeno un paio d’ore d’aereo da me. E quest’Invincible Summer è proprio questo, lasciar andare, continuare a brillare, ubriacarsi un’altra volta, e tornare al lavoro il giorno dopo, esserne anche un po’ felici. E se il disco passato, quello di un lontanissimo 2016 (prima che i biglietti dei concerti costassero 150 euro e prima di una pandemia globale) era un affondare in un’oscurità psichedelica, con una tristezza intrinseca e feconda, qui quella stessa tristezza si piega a una rassegnazione di quelle arzille e sbarazzine, come il vino frizzante d’estate.
I riferimenti musicali si muovono tra Nick Drake, Richard Ashcroft e quella scena britannica che ci ha fatto sognare e comprare tantissime magliette, ma ritroviamo qui anche i momenti à la King Gizzard e Tame Impala. Ispirazione, qualche trauma condivisibile e abilissimi musicisti hanno fatto la riuscita di un disco che si prospetta tra i migliori di quest’ultima scia di pubblicazioni prima dell’estate. Da dedicare a tutti i pazzi, agli ultimi romantici che corrono ad Amsterdam per un’ultima notte d’amore, a chi è andato in Inghilterra a lavare i piatti e non è più tornato e a chi alla fine sta sempre bene.
RM
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