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I Temporali ci raccontano le loro “Tre stagioni, la vita sognata, la vita vera”, un disco di cui ci siamo già innamorati || INTERVISTA

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TRE STAGIONI. LA VITA SOGNATA, LA VITA VERA è il debut EP de I Temporali, nuovo progetto alt-folk di Filippo Ghiglione. Un ritorno alle radici dopo anni passati con il moniker f o l l o w t h e r i v e r e un grande cambiamento per il cantautore ligure, con testi per la prima volta in italiano, senza dimenticare le atmosfere musicali già precedentemente esplorate.  Questo EP parla di una stanza, un piccolo posto da arredare con cura e da fare proprio per tre stagioni, sette mesi e duecento giorni. Sei piccoli passi, sei canzoni da tenere strette da qualche parte dentro al cuore, per coltivare il dolore scaturito da una separazione. Il lutto, la perdita, il disorientamento. E poi, dentro questa stanza, imparare a fare di questo dolore qualcosa di proprio, farne una parte di sé. E finalmente uscire fuori.

L’EP si compone di sei piccole canzoni seminate così, come piccoli pezzi di un puzzle, e spogliate di tutto, fatte solamente di una chitarra, qualche sovraincisione vocale e una voce, vera protagonista con la sua emotività, insieme alle parole che la accompagnano. Ritrovare la propria voce, ritrovare sé stessi e capire che casa nostra, e quella piccola stanza, in fondo siamo noi, dovunque andiamo e dovunque andremo.

Ci eravamo già affezionati a Filippo Ghiglione, con il suo precedente progetto “followtheriver”. L’utilizzo dell’italiano ce lo ha fatto avvicinare ancora di più, e non potevamo che esserne più felici. Lo abbiamo incontrato, ed ecco com’è andata!

 

 

 

 

  1. Quali sono le tue influenze che derivano dal mondo del folk? Trovi che in Italia ci sia una scena in tal senso? 

Ciao Tutti Giù Parterre e grazie per le domande!

Tra le influenze a cui cerco di avvicinarmi maggiormente sicuramente la più dichiarata è quella di Justin Vernon e di tutto il suo multiverso di progetti, su tutti i Bon Iver. Mi piacciono quelle canzoni che sembrano fuori dal tempo, che sanno di boschi e montagna, di malinconia e di amori passati di cui ti ricordi improvvisamente, di chitarre acustiche, testi sinceri e melodie malinconiche sussurrate a voce spezzata.

Credo che in Italia ci sia sicuramente una scena, ma che questo modo di scrivere canzoni sia anche molto diluito tra tante artiste e tanti artisti diversi, proprio nelle singole canzoni o nei singoli album. Per esempio, seguendo la descrizione che facevo prima, a me viene subito in mente Una somma di piccole cose di Niccolò Fabi.

  1. Davvero senti di esserti messo a nudo in questo disco? Com’è andata, rispetto alle altre volte che hai pubblicato musica?

Diciamo che l’obiettivo forse era proprio quello, mettersi dopo tanto tempo davvero a nudo, senza filtri e senza protezione. Per tanto tempo ho scritto e cantato in inglese con il progetto f o l l o w t h e r i v e r, questo è il primo disco che pubblico in italiano dopo più di dieci anni. Sentivo il bisogno di tornare a farlo, e anche il modo in cui ho scelto di pubblicare il disco (totalmente unplugged, quasi solamente chitarra/voce) rispecchia questo bisogno di semplicità e forza emotiva, nato principalmente dalla necessità di far uscire le canzoni, che si riferiscono a un periodo ben preciso della mia vita.

  1. Ha ancora senso fare musica da indipendente? C’è qualcosa che, nell’essere un artista indipendente, non comprendi o di cui non ti piace occuparti? E qualcosa che invece non avevi considerato di dover fare?

Credo che fare musica da indipendente, in questo momento storico (che in realtà va avanti da anni) così liquido, complesso e mutevole, sia proprio una necessità e una base, quantomeno una condizione di partenza necessaria. I rapporti con chi si occupa di music business (agenzie, management, labels, booking, ecc.) sono radicalmente cambiati e sono anch’essi mutevoli, e c’è molta più libertà d’azione, anche se sicuramente bisogna combattere con un mare in tempesta molto più vasto, con una soglia di attenzione e di ascolto molto bassa e con responsabilità personali molto diverse. 

Personalmente per me la svolta (anche di vita) è arrivata quando ho capito di rimettere la musica e la costruzione del mio percorso di nuovo al posto giusto, in uno spettro dove dentro stanno tante altre cose, piuttosto che ossessionarmi dietro alla sua realizzazione. Ed è stato davvero qualcosa che non avevo considerato di fare e che mi ha liberato da un grande peso, rendendo tutto quanto più spontaneo e naturale.

  1. E in che senso “siamo tutti dei temporali”?

I temporali sono fatti di contrasti, come noi. Possono essere distruttivi, spaventare e far tornare alla luce paure ancestrali, come quando da bambini avevamo paura dei lampi e dei tuoni. Ma al contempo portano calma e riflessioni, aiutano a lavare via il peso delle cose e portano anche vita, bagnando e dissetando la terra. E poi sono anche delle masse d’aria che si spostano e si scontrano, che cercano quindi di occupare uno spazio vuoto dandogli forma e significato. Un po’ come facciamo noi, no?

  1. Chi è Filippo e chi sono I Temporali? E chi ha la meglio quando litigate?

Credo di poter dire che Filippo e I Temporali sono davvero la stessa persona, per la prima volta sento di poter dire questo. Ma ovviamente litighiamo spessissimo, poi ci ignoriamo per un po’ e poi facciamo pace.  Ma i temporali, quando arrivano arrivano, e hanno sempre la meglio su tutto, mi sa.

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