Fuori da venerdì 26 gennaio per Giungla Dischi il nuovo album di Fringuello. “Iceberg” ha un anima LoFi e DIY ed è un disco registrato interamente su nastro usando apparecchiature analogiche di, almeno, 40 anni fa. Musicalmente è un album con forti rimandi alla scena inglese degli anni ’60 ma con molte velature anni ’90 e primi 2000. I testi non ricercano un senso logico: le parole sono state scelte per la loro musicalità ed adattabilità alla melodia vocale, così da costruire frasi più attente al suono che al significato.
Abbiamo fatto una chiacchierata con il cantautore per conoscere meglio il suo progetto:
Partiamo dalle origini: come nasce il desiderio e la necessità di avviare un progetto solista?
Le canzoni sono nate voce e chitarra, o voce e pianoforte, nei ritagli di tempo tra un cliente e l’altro nel mio negozio di dischi. Il progetto porta il mio nome, ma non sarei riuscito a portarlo a termine senza l’aiuto di Leonardo Pressi che mi ha aiutato a suonare e completare i brani.
Ci sono dei progetti dell’attuale scena musicale italiana che senti particolarmente affini a te?
Non proprio. Mi piacciono molto Giorgio Poi e Andrea Laszlo de Simone, e qualcosa in comune credo di averla, forse l’approccio LoFi, ma fondamentalmente mi ritrovo più, come sonorità, vicino a progetti Inglesi o Statunitensi. Molti dei miei brani comunque guardano al passato, agli anni 60 e forse mi riconosco più in Donovan e nella scena Psychedelic pop inglese di quegli anni.
Hai deciso di porti dei limiti importanti nella registrazione del tuo disco “Iceberg”, usando solo apparecchiature analogiche. Perché questa scelta?
Ho provato tempo fa a produrre la mia musica con il computer, ma davvero non fa per me. Ci sono troppe “possibilità”, infinite varianti di suoni e plugin, che mi rendevano difficile chiudere un brano. Mi ritrovavo la sera sul divano a guardare un film continuando a pensare alla produzione del brano a cui stavo lavorando, stoppavo il film, aprivo la DAW e cambiavo i parametri nel progetto. questa cosa mi metteva un’ansia assurda. Con il nastro invece sento di avere più controllo, anche se forse ne ho meno. Il nastro ti costringe a preparare un suono prima, a definire a priori cosa vuoi registrare perché una volta registrato non puoi più intervenire sul suono, o cancelli e rifai la traccia o la lasci così com’è. Il nastro è un’istantanea di un momento, ti costringe a fare una take completa al meglio possibile e se magari hai acciaccato una nota al minuto 1 e 28 secondi, pazienza, l’intenzione era quella giusta. Lavorare con l’analogico mi permette di esprimermi meglio, mi permette di colorare le cose come mi piace e dare ai brani una vena “sporca” autentica. Ma è una cosa soggettiva, io mi trovo bene con questo workflow.
Al di là dell’aspetto sonoro, c’è un messaggio che vorresti trasmettere con questo album?
Nessun messaggio. Anche con i testi dell’album ho fatto un lavoro sonoro della parola e non del significato, proprio perché non ho niente di importante da dire a nessuno, niente da insegnare o condividere di speciale con le parole. Spero invece che la musica, l’insieme di voce e strumenti di questo disco, possano far passare una mezz’ora piacevole a chi l’ascolta.
Prossimi progetti per il 2024?
Suonare il più possibile in Italia e magari all’estero e iniziare a registrare il secondo disco.
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