Tra riflessioni intime, la ricerca interiore di rifugi e sicurezze, ma anche l’inseguimento di speranze e obiettivi, Magneti scorre sulla pelle dell’ascoltatore lasciando un solco che tratteggia un percorso interiore, da intraprendere guidati da Filippo Cattaneo Ponzoni e Maëlys, che con delicatezza ne suggeriscono la destinazione.
Noi abbiamo avuto la fortuna di incontrarli, per farci raccontare l’atmosfera e la genesi di un disco che ci ha fatto innamorare sin dal primo ascolto.
Ciao Filippo, ciao Marilisa, il vostro nuovo album si chiama Magneti. Ci raccontate innanzitutto dove l’avete scritto?
F: Ciao!
M: Ciao a voi! Abbiamo scritto Magneti in una calda Puglia di metà luglio, nella mia casa al mare. Siamo rimasti lì per dieci giorni, con l’aria condizionata rotta (situazione non poco sfidante!), e ci siamo immersi nella musica, cullati dal mare in lontananza.
Come si è strutturato il processo creativo del disco? Avete scritto prima la musica o i testi?
F: Quando scriviamo solitamente partiamo da un giro di accordi sul quale improvvisiamo melodie. Dopo aver raccolto un po’ di idee che ci convincono inizia il lavoro testuale: cerchiamo di catturare immagini lasciandoci trasportare dall’armonia e dalla vibe.
Successivamente arriva la produzione ma prima il tutto deve funzionare con meno elementi possibili.
Quali erano i vostri pensieri mentre componevate le canzoni? Alcuni di questi hanno influenzato sonorità e liriche?
F: I nostri pensieri principalmente erano “scriviamo musica che ci piace senza pensare a generi o strutture specifiche”. L’idea era di trasmettere all’ascoltatore le emozioni di due amici che scelgono di fare un disco insieme per il piacere di scrivere canzoni.
M: Non avrei saputo dirlo meglio. Forse posso aggiungere solo che ci guidava anche la voce di tutta la nostra generazione, con le nostre paure, incertezze, speranze. È stato molto spontaneo come lavoro.
Che artisti stavate ascoltando mentre scrivevate Magneti?
Durante la scrittura del disco stavamo ascoltando: Daniel Caesar, Frank Ocean, Saya Gray, greek, Dijon, Sampha, Omar Apollo per citarne alcuni.
Come si è svolto invece il processo di registrazione e produzione dell’album? È cambiato qualcosa nel disco rispetto al momento in cui è stato scritto?
F: Quasi tutte le canzoni sono nate durante la residenza artistica in Puglia e molti elementi registrati lì sono rimasti invariati. La direzione del disco per noi è stata chiara fin da subito e l’abbiamo seguita anche a distanza di mesi quando, per esempio, è nata “Come il sole”: è stata l’ultima canzone che abbiamo scritto e per noi racchiude tutti i temi cardine del disco.
Qual è la tua parte preferita e quella che ti piace di meno dell’intero processo di nascita di un disco, dall’ideazione alla sua incisione?
F: Personalmente non c’è una parte che mi piace meno.
Lavorare a un disco è un processo di scoperta, crescita e conoscenza personale.
Amo ogni momento, anche quelli più complicati quando le idee sembrano non arrivare: impari a non perderti d’animo e ad aspettare.
Forse la mia parte preferita è la sensazione che provo quando sento di aver trovato la chiave durante la scrittura di un pezzo.
M: La mia parte preferita è quella di scrittura pura, prima ancora di passare alla produzione. Pochi accordi, che progrediscono piano piano, delle melodie vocali incerte, delle parole biascicate che ancora non hanno una forma definita: amo vedere come poi, in un tempo imprecisato, prendono forma come le sculture dal pezzo informe di marmo originario. Ho però anche una parte che mi piace di meno: il momento che precede l’uscita. L’incertezza e l’aspettativa involontaria che si crea in me mi destabilizzano. Per fortuna, è un passaggio estremamente momentaneo.
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