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CAMPI, opening a Vasco il 20 giugno a San Siro [Intervista]

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Intervista a CAMPI, all’anagrafe Andrea Campi, giovane cantautore e autore bolognese, il suo stile mescola sapori vintage e sound contemporaneo a melodie incisive dove i testi galleggiano in primo piano.

Nel 2023 pubblica per Arcana Edizioni il suo primo libro intitolato “Da Tapum a Skrt: l’onomatopea nella canzone italiana”.

A dicembre 2022 viene pubblicato il suo primo album “Un Ballo Di Altalene per UMA Records/Trasporti Eccezionali e distribuito da Sony Music Italy, che inizia a proporre al pubblico in diversi festival e concerti.

Nel 2023 è risultato vincitore del primo Premio Assoluto SIAE e del Premio “Humilis” per il miglior testo assegnato da Beppe Dati al “Proscenium festival” di Assisi. E’ anche vincitore del primo premio al “Festival Via Emilia” e finalista al concorso “L’artista che non c’era”.

L’artista ha vinto il contest “Zocca Paese della Musica” e aprirà l’ultima data di Vasco a San Siro giovedì 20 giugno.

Ciao Andrea, benvenuto su Tutti giù Parterre!
Ciao parterriani, piacere!

Partiamo subito col botto, il prossimo 20 giugno aprirai la settima data a San Siro del “Vasco Live 2024” grazie alla vittoria della rassegna “Zocca Paese della Musica”: qual è in assoluto la canzone del Blasco che avresti voluto scrivere e/o che magari ti rappresenta maggiormente?
Si, è davvero una grandissima emozione avere l’opportunità di suonare su un palco come quello di San Siro in apertura a una leggenda come Vasco Rossi. Ringrazio ‘Zocca paese della musica’ per questa opportunità pazzesca. Vasco di capolavori ne ha scritti tanti ed è difficile scegliere una sola canzone! Forse quella che mi piacerebbe avere scritto è ‘Vivere’: ogni volta che la ascolto ho una stretta allo stomaco. Ma sono molto legato a due canzoni in particolare: ‘Toffee’ e ‘Ormai è tardi’. Credo rappresentino molto bene la poetica di Vasco e la sua capacità di ricreare atmosfere estremamente evocative e dipingere una scena, un concetto ed un immaginario con pochissime parole.  Sono state per me un’importante lezione di scrittura. Forse proprio per questo quando scrivo tendo a farmi ispirare da una sensazione, che cerco di ricreare in musica, prima ancora che da un concetto, che arriva in genere in un secondo momento.

Hai all’attivo l’album “Un ballo di altalene” e il libro “Da Tapum a Skrt: l’onomatopea nella canzone italiana”: le due passioni vanno di pari passo, oppure può capitare che in alcune situazioni l’una prevarichi l’altra e viceversa?
La prima forma di espressione a cui mi sono avvicinato è la scrittura. Quando ho iniziato a suonare il primo istinto è stato subito quello di comporre ed incollare alle melodie le storie che avevo in testa. Diciamo che la musica resta sempre in primo piano ed è il centro di tutti i miei progetti, ma  finito il liceo ho scelto ‘Lettere Moderne’ proprio perché sono convinto che questi due mondi possano essere molto comunicanti tra loro. D’altronde è pieno di esempi illustri, con le dovutissime distanze, di cantautori che hanno svolto anche la professione di professore: da Vecchioni, Claudio Lolli, fino ad arrivare a Francesco Guccini, bolognese come me. Il nostro paese ha una storia musicale che ha messo sempre il testo in una posizione di primo piano. Lavorare sempre a stretto contatto con le parole credo mi abbia aiutato tantissimo anche come autore. La musica resta la mia passione più grande e l’universo in cui riesco ad esprimermi nel modo migliore, ma credo che questi due ambiti non vadano assolutamente in contrasto, ma che anzi si aiutino a vicenda.

A proposito di onomatopee, qual è il tuo pensiero in merito all’utilizzo delle figure retoriche all’interno della canzone italiana?
Mi sono laureato appunto in lettere con una tesi che ricostruisce la storia d’Italia attraverso l’utilizzo dell’onomatopea nei testi della canzone Italiana. A partire da un canto patriottico della prima guerra mondiale: ‘Tapum’ che richiama il suono del Mannlicher 95, il temibile fucile austriaco a lunga gittata. Fino ad arrivare allo ‘SKRT’ della trap che richiama il suono dello sgommare di un macchinone di lusso sull’asfalto. La tesi, secondo me molto interessante. è che l’onomatopea traghetti, chi possiede la chiave di lettura, nella vita della società del momento. Ed ho analizzato in che modo questo particolare espediente è usato nel corso del tempo all’interno della canzone. Sviluppare questo lavoro e trasformandolo in un libro pubblicato da Arcana edizioni è stato davvero appassionante. Non escludo che ci saranno altri progetti in futuro che uniscono la storia della musica agli studi letterari.

Hai lasciato la tua Bologna per trasferirti a Milano: a tuo parere si tratta di una scelta obbligata qualora si voglia intraprendere una carriera artistica?
Non farei musica allo stesso modo se non fossi nato a Bologna: sono cresciuto con la scuola bolognese da Dalla a Cremonini, Carboni e Bersani. Penso abbia come caratteristica, che si riflette nella musica dei suoi artisti natali, quella di unire la profondità e la leggerezza.  È allo stesso tempo una grande città ed un ‘paesone’ in cui il centro restano sempre le persone. All’opposto di Milano che mette al centro le opportunità. Mi sono trasferito a Milano proprio per questo motivo: è innegabilmente il centro nevralgico dell’industria musicale, un luogo in cui si concentrano tantissimi artisti, produttori ed autori. In questa fase della mia vita ho ritenuto importante darmi l’occasione di contaminarmi con generi, stili e personalità diverse per ampliare i miei orizzonti. Ma torno moltissimo a Bologna, dove ci sono musicisti eccezionali con cui collaboro. In questo momento in particolare sento che c’è tanta voglia di costruire una nuova scena musicale e culturale. C’è molto fermento ed il talento non manca. Sono sicuro nasceranno cose molto interessanti. Rimane per me la dimensione ideale per essere creativo: una città in cui tutto ti fa sentire protetto dai portici alle mura al caldo colore purpureo dei tetti.

In bocca al lupo Andrea, spacca tutto!
Grazie, a presto!

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