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5 nomi imprescindibili per credere ancora nel potere della decadente scena indipendente

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E per farla breve: ci mancano i vecchi tempi, quando il cantautorato indie non passava da Sanremo, e il fatto di ascoltare Lucio Corsi un po’ ci riuniva in una resistenza musicale. E noi a Lucio Corsi auguriamo il meglio, ovviamente, ma concedeteci un po’ di nostalgia per quei vecchi tempi in cui un nome come quello di Lucio, lo conoscevamo solo noi, a blaterare sulle webzine e a litigare con i nostri genitori, per i quali esiste solo Sanremo e poco altro. E se oggi l’indie è arrivato a Sanremo, cosa resto sotto? Cos’è rimasto dell’underground di cui nessuno parla, di quella resistenza musicale che effettivamente non arriverà mai a Sanremo. Per rispondere a questa piccola ma difficile domanda, abbiamo raggruppato cinque progetti musicali. Silenzio, e volume al massimo.

AGUA Y AGIO

Gli Agua y agio sono l’anima della festa, un duo musicale indipendente, un’esperienza che unisce emozioni e creatività in una fusione esplosiva di stili, linguaggi e mondi musicali. Il loro personale approccio sonoro, che tocca il pop urbano, il latin, il jazz e l’elettronica, rende le loro produzioni uniche e avvolgenti.  Sono la band che non avete mai ascoltato e che quando arrivano, a tutto volume nella vostra auto, con dietro i vostri amici inconsapevoli, vi domandate come sia stato possibile ignorare tanta bellezza sino ad ora. La prova vivente che Milano ha ancora voglia di ballare, che bastano poche parole incomprensibili in spagnolo, per sentire l’aria calda di Barcellona, e ci viene quella malsana voglia di mischiare vino e coca cola. Un pianista jazz incontra un itinerante musicista franco-argentino, e il gioco è fatto. Il risultato? “Milalma“, un disco che una volta entrato nelle orecchie, non vi lascerà più andare, un passo alla volta, a muovere piedi e fianchi, nei locali fumosi, nei nostri stretti appartamenti pregni di colori e amici. La posività che vi servirà anche in questo, sinora grigio, 2025.

 

KILL REF

Lo so, lo so. Che vi cito Lucio Corsi e ora vi piazza un disco strumentale, una cosa che non ha senso ma se vi manca davvero la scena indie, forse adesso avete ormai quarant’anni e figli a carico, e siete probabilmente pronti per affrontare un disco che davvero non arriverà mai a Sanremo, e cioè un disco strumentale. E questo in particolare non è solo un disco, ma un vero e proprio viaggio sonoro, trasversale, che attraversa generi e tempi e ci fornisce la colonna sonora perfetta per questi tempi incerti. Della stratificazione di generi, Kill Ref fa la sua firma, perfettamente a suo agio tra l’elettronica e sonorità più acustiche. Non so perchè non posso fare a meno di segnalarlo tra questi cinque progetti, se non che non rimanevo incollato ad un disco intero da davvero tanto tempo, e questo mi mancava febbrilmente. Il non cercare il ritornello martellante e la facilità a tutti costi, fa di questo disco il più appassionante che possiate trovare oggi. David Lynch è morto, ma lo avrebbe apprezzato molto, e forse avrebbe fatto un film, come ai vecchi tempi, partendo proprio da qui. 

BANDIT

Un atteso ritorno, un progetto che pensavamo svanito in quella scena che fa riferimento a un periodo in cui ci si nutriva di passa-parola e link di Soundcloud. Un disco che arriva dopo una lunga assenza dalla pubblicazione di un piccolo cult della scena indipendente: nel 2011 uscì infatti clandestinamente il primo album di Bandit “Quando la luce grande della discoteca“, pubblicato poi ufficialmente in versione restaurata nel 2023, che fu un inconsapevole manifesto generazionale irriverente e dolce-amaro. Bandit ci racconta la sua Milano, quella del mattino dopo, quando la discoteca ha vomitato fuori gli ultimi superstiti di una serata di coriandoli e luci al neon, diventare grandi, interessarsi di politica, vivere intensamente, punk, ma poi andare in ufficio silenziosi, ogni giorno. Il giorno dopo la discoteca i personaggi diventano persone, e anche dopo la fine degli studi avviene un po’ la stessa cosa. Un disco, dove si ride a disagio, dove è tutto sbagliato, e non riusciamo a distrarci neanche per un momento, come per i migliori incidenti stradali, che spiamo dal balcone finchè non ne rimangono che i frammenti di vetri per strada, e qualche chiacchiericcio. Meravigliosamente indie, come dieci anni fa, come a sentirsi giovani di nuovo, con una cravatta e i capelli bianchi.

 

 

BASTIANO

Bastiano ve lo vogliamo descrivere: sguardo malinconico e dei dread lunghissimi, che si porta dietro da una vita e che la sua vita la raccontano. La sua è una voce incerta, spezzata, pregna di sofferenza, e il suo nuovo album si intitola “Punti che si uniscono”, come frammenti di una vita che si vanno a ricomporre in questo disco, che diventa per Bastiano un mezzo per mettere tutti i tasselli al proprio posto, una auto-psicoanalisi. Sta tutta qui la forza di un disco di cantautorato semplici, senza una produzione estesa e sovrastrutture musicali, qui è tutto sfacciatamente sincero e semplice, come la confidenza rara di un amico davanti a una birra. Bastiano diventa il nostro migliore amico, l’indie malinconico che abbiamo cercato a lungo e che avevamo perso, nei meandri dell’autotune e della trap, con questo piccolo album che è straziante e caldo, che strappa un sorriso come una lacrima. Un importante capitolo che valorizza ciò che viene catalogato come difetto, lo stesso che ci rende unici in un mondo dove si rincorre la perfezione.

 

 

METCALFA

Un altro disco strumentale. Che vi vediamo che state alzando gli occhi al cielo, ma questo è un altro di quei dischi che non vi lasceranno andare, dalla prima all’ultima traccia. E ancora una volta ci ritroviamo a chiedervi se vi è mai capitato ultimamente di ascoltare tutto un disco, probabilmente mesi, se non anni, e quello di Metcalfa può essere un meraviglioso nuovo inizio, in tal senso. Un’autobiografia musicale, che mischia suggestioni ed elementi, che probabilmente parte dallo strumento di Metello Bonanno, in arte Metcalfa, che da batterista gioca in tal senso, con ritmi e sussulti, mischiando jazz ed elettronica, e che agli ascoltatori suona come una lunga sessione di meditazione. Il primo ascolto del 2025, che suona come un’esplorazione, un’esperimento, una terra inesplorata che, incredibilmente, ci accoglie come una famiglia. Metcalfa nasce come un progetto esplorativo, prende forma dalla necessità di imboccare un sentiero ancora inesplorato. Il seme di tutto ciò nasce dalla volontà di unire l’universo ritmico e rituale della batteria con quello melodico e armonico del pianoforte; per poi unire il jazz all’elettronica. Quelle che ascoltate non sono solo canzoni: sono emozioni, stati d’animo, sogni notturni e un risveglio costante.

 

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