Lo avevamo già visto, ma dovevamo e volevamo rivederlo. Così sabato 2 aprile dopo una giornata di corse in macchina, moto e scooter per spostarsi da un posto di lavoro all’altro, facciamo l’ultima in direzione Roma-EUR per arrivare puntuali al concerto di Brunori all’Atlantico Live.
Le prime due sorprese sono positive: nonostante il traffico e l’affluenza, si arriva in orario accettabile e si parcheggia praticamente subito. Poi la fortuna sembra voltare le spalle: la fila per l’ingresso è quella delle grandi occasioni, anzi di più, quella dei grandi deliri. Ora specifichiamo, chi non ha mai visto che genere di file possano formarsi all’Atlantico Live per gli eventi di maggiore affluenza, non ha mai visto una fila. Il cordone umano che fuoriesce direttamente dallo stretto cancello d’entrata, si articola nel piazzale tra le auto parcheggiate e gli scooter che cercano un metro quadro qualsiasi per fermarsi. Fa una curva, poi un’altra, un’altra ed un’altra ancora e, quando pensi di aver finalmente raggiunto la coda, giri attorno a quel gruppetto che pensavi fosse l’ultimo della fila e scopri che di curve ce ne sono un altro paio almeno! Però è una fila simpatica per almeno due motivi: si è formata così articolata ed a suo modo composta, in maniera autonoma, senza nessun addetto a guidarla. Inoltre, le persone che la compongono sono contente e la contentezza si avverte, si respira.
Tutto sommato poi, questa coda simpatica scorre abbastanza velocemente anche contro le previsioni più pessimiste, ma lascia comunque il tempo ad ogni gruppo di inviare un eletto a comprare panini e bevande e poi, di consumare il tutto prima di staccare i biglietti.
Si entra e subito si passa da una serata di fresca primavera ad un mezzogiorno caraibico. L’area dell’ex PalaCisalfa è già quasi piena ma si riesce a spingersi abbastanza in avanti verso il palco. Resta il tempo di socializzare con i più estroversi (e già alticci), tra cui un sosia non ufficiale e piuttosto smagrito di Dario Brunori, cui viene anche chiesto di improvvisare un set acustico all’esterno per ingannare l’attesa. Poi è il momento di Nicolò Carnesi, che da solo a centro palco, voce e chitarra, inizia a scaldare una folla molto ricettiva, che canta ed applaude i suoi pezzi. Il bravissimo cantautore palermitano quindi si congeda nell’approvazione generale, calano di nuovo le luci e, dopo qualche lunghissimo minuto di riassestamento palco, parte la musica che accompagna l’entrata in scena della “premiata ditta” Brunori S.a.s.
Grandi applausi, i musicisti si sistemano e man mano si sovrappongono alla base, il grande faro bianco illumina Dario che parte all’unisono col pubblico: “Te ne sei accorto si…?” Se ne sono accorti tutti. E tutti scandiscono ogni parola di La Verità e L’uomo Nero, prima del saluto dell’artista: “Figliuole e figliuoli, benvenuti a casa Brunori!”.
La prima parte scorre tra i bellissimi pezzi dell’ultimo disco A casa tutto bene e qualche cavallo di battaglia del passato. Il pubblico non perde un colpo ed accompagna ogni singola parola dei testi di Brunori, che spesso, volentieri e molto piacevolmente, si intrattiene in battute e veloci scambi con i fan delle prime file, durante le pause tra i pezzi e le introduzioni. E sembra per davvero a casa sua, perfettamente a suo agio sul palco dell’Atlantico, di fronte all’ennesimo sold-out, con la personalità dell’artista completo che ha raggiunto forse la sua piena maturità con un disco musicalmente più complesso dei precedenti, che prende di petto tematiche politico-sociali attuali e delicate, con una affatto scontata sensibilità di scrittura. Un disco accolto con grande favore da vecchi e nuovi fan, un disco capito, perché scritto con l’ironica maestria di chi riesce ad usare parole intelligenti, comprensibili a tutti, pur mantenendo la sua profondità. Un disco quindi apprezzato e cantato a squarcia gola proprio come i precedenti, rappresentati nel live romano da ballate romantiche e malinconiche tipo Come Stai, Lei, Lui, Firenze o Arrivederci Tristezza, che si alternano a pezzi che sembrano arrangiati apposta per far saltare gli spettatori, come Rosa.
All’accensione delle luci del bis poi, Dario non imbraccia più la chitarra ma è solo al pianoforte. “Una cosa mai vista in Italia, l’artista seduto al piano da solo, la facciamo noi per la prima volta qui a Roma e per fare anche il cantautore maledetto, abbiamo messo questo bicchiere di wisky che in realtà è tea alla pesca…”. Dario è in grande spolvero e scherza ancora con i fan, gli fa abbassare le difese e poi gli graffia cuore ed anima con Guardia 82 e Kurt Cobain, prima di chiudere e salutare tornando all’ultimo disco con Secondo Me.
Si va via soddisfatti anche se poco sazi: “Non ha fatto questa, volevo sentire quest’altra…”, e quindi via di stereo a palla in macchina per sentire e risentire ancora Brunori cantare, per non lasciare sfumare con troppa facilità quelle belle sensazioni vissute nella bolgia dell’Atlantico e restarci aggrappati ancora un po’, almeno il tempo di tornare a casa e magari infilarsi le cuffie e nel buio del letto, dosarsi ancora qualche canzone, di quelle “che ti acchiappano alla gola senza tanti complimenti, come sberle in faccia per costringerti a pensare”. E magari la vita non te la salvano, ma la rendono almeno un po’ più bella.
RM
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