Alix si trasferisce a Parigi in giovane età, e studia letteratura, arti visive, recitazione e danza. Vive a Montmartre in un minuscolo appartamento, alternando mille lavori, mentre esplora lo stretto legame tra musica e performance. Parigi non è una semplice casa: diventa un luogo dove si intrecciano ricerche artistiche, personali e politiche. È da questa intersezione che nascono la sua scrittura e la sua musica. La voce di Elza Soares e Cesaria Evora, il suono di Mayra Andrade e Dino D’Santiago, e il mix musicale di Lisbona lə porteranno poi nella capitale portoghese, dove la sua scrittura si impregna degli incontri fatti con artistə, collettivi queer e attivistə. Tra Lisbona e Londra, scrive canzoni in portoghese, italiano e inglese, canta nei bar e collabora con altrə artistiə.
Il suo primo disco s’intitola “Garçon Raté” e gli abbiamo fatto qualche domanda a riguardo.
- Quali differenze hai riscontrato tra la scena musicale italiana e quella francese?
È una domanda molto complicata. È difficile fare una comparaison fra i due paesi. Conosco molto di più la Francia perché sono lì da molto più tempo. Diciamo che come prima impressione, magari completamente sbagliata, mi sembra che la scena italiana sia più omologata rispetto a quella francese. C’è anche un modo di pensare il proprio lavoro da musicistə molto diverso. In Francia esiste uno statuto, è un mestiere molto più riconosciuto e supportato, anche economicamente, dalle istituzioni. In Italia, almeno a Milano, c’è molta più competizione personale, forse proprio perché gli artisti sono meno supportati. E questo forse si traduce poi nel fatto che in Francia mi sembra ci siano progetti grossi molto diversi tra loro, con scelte di carriere, fusioni di generi e culture musicali molto diversi. Mentre in Italia i progetti più grossi mi sembrano molto simili, quasi ci fosse una ricetta. Milano però è molto più veloce di Parigi; incontrare altrə musicistə, posti in cui suonare e collaborazioni è stato abbastanza veloce. Milano produce a velocità supersonica rispetto a Parigi. Non so a che cosa sia dovuto, e non mi lancerei in nessun analisi di questo tipo.
- E perchè alla fine hai scelto di rimanere in Italia?
In realtà non ho scelto di rimanere in Italia, ma continuo a vivere tra Parigi e Milano. Ci sono periodi in cui sto praticamente sempre in Francia, e periodi nei quali sto molto di più a Milano. In Italia ci sono arrivatə per ragioni più personali che professionali; avevo bisogno di riconnettermi con la cultura italiana e un paese che ho frequentato poco negli anni e mi rimandava solo alla mia infanzia e adolescenza. Ora sto molto bene nel vivere tra due paesi, mi permette di concentrarmi sugli aspetti migliori di ognuno dei due. Ma non vi dirò per chi tifo… È una domanda alla quale non potrò mai rispondere.
- Cos’è il Divergence Studio e perchè ha a che fare anche con la musica?
Divergence Studio è lo studio creativo che ho co-fondato con Patsy Clark nel 2021, a Parigi e a Milano. È nato dalla volontà di dare forma visiva a quello che scrivo nella musica. La musica che faccio è anche da vedere, da condividere, e per questo ho sentito il bisogno di avere una mia équipe, uno mio studio che lavorasse con me alla direzione artistica del progetto. Fare musica su un palco, in un video, o una studio session filmata, collaborare a progetti editoriali con la moda o registrare un album in studio, sono parti diverse ma fondamentali del mio lavoro e necessitano di una direzione unica e di coerenza. Divergence si occupa di tutta la ricerca visiva a partire dalla mia musica, su qualsiasi supporto o contesto; per me non si tratta solo di mettere dei vestiti che mi stiano bene o di fare promozione. Dietro tutto il lavoro visivo che faccio c’è un lavoro di ricerca artistica vera e propria. Divcergence mi permette di tradurre in immagini la musica che scrivo e che canto. Ora cominciamo a collaborare anche con altrə artistə e progetti simili o affini al mio, esplorando il legame tra musica e immagine.
- Perchè Ali + The Stolen Boy?
È il punto di arrivo di un percorso. Ho sempre percepito come molto straniante la proiezione che le altre persone facevano sul mio corpo, identificandomi come un ragazzo. Non mi sono mai riconosciutə veramente in queste identità. The Boy è una sorta di spettro, di fantasma che gli altri vogliono vedere in me e che a me piace sottrarre alle loro aspettative, come un ladro. C’è qualcosa di ironico, credo, perché è come se dicessi “ma in realtà non sono esattamente un ragazzo”, ed è come se stessi rubando alla loro mente, al loro sguardo una certezza, da qui è diventato The Stolen Boy. Mi piace avere questo ruolo, anche nella musica, non dare mai nulla per scontato, e non smettere mai di ribaltare certezze e aspettative. Lo faccio anche con me stessə e mi diverte un sacco. Diversi anni fa, quando lavoravo in un museo di arte contemporanea a Parigi, la prima bozza del nome del progetto è nata fra le opere di Lucio Fontana e Niki de Saint Phalle. Da lì ho lasciato Parigi, sono andatə a vivere a Londra e a Lisbona, e nel contesto anglofono Alix, il mio nome proprio, si è accorciato ed è diventato Ali. Poi durante una residenza artistica in Francia, mentre stavo scrivendo il mio primo progetto solista, cercavo di dare un nome definitivo al mio percorso e Ali + The Stolen Boy è stata una sintesi condivisa con le persone attorno a me in quel momento. Era il giusto mix di fantasy, vita reale e immaginata, lavoro concettuale e ispirazioni. Sembra tutto molto pensato ma in realtà è stato istintivo.
- Chi dovrebbe assolutamente ascoltare “Garçon Raté” e in quale periodo della sua vita?
Chiunque abbia voglia di prendere il tempo di ascoltare, e farsi un viaggio. Non credo sia un album da tenere come sottofondo di altre attività, ho provato ad ascoltarlo mentre pulivo casa ma è come se la musica lottasse e richiedesse tutta l’attenzione. Forse è un album un po’ egocentrico [ride]. È un album per me molto adolescenziale, che porta dentro un caos di suoni e melodie, un mood che è quello che ascoltavo da adolescente e che ancora mi smuove. E per me l’adolescenza, di là dai dati anagrafici, è più un modo di stare al mondo, di ricerca della propria identità, essere incazzatə quando gli altri pensano che tu sia qualcuno che tu non vuoi assolutamente essere, vuol dire avere sogni e ambizioni altissimi al di là di come va il mondo o la tua vita. It’s a state of mind and body, è un istinto di transizione, di trasformazione, una rete di domande. Quindi è sicuramente un album che dovrebbe ascoltare chi ha voglia di trasformarsi, di non rimanere uguale a se stessə, né tantomeno di accettare quello che gli altri si aspettano da te. Raté vuol dire uscito male, imperfetto, è un tentativo fallito agli occhi degli altri, anche questo fa parte dell’adolescenza per me, ci si butta nelle cose e si vede cosa ne esce.
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