É uscito venerdì 19 maggio 2023 per Gelo Dischi il nuovo album, primo full length, di Ascari, dal titolo “Italien*“, un concept album, un viaggio sonoro all’interno di dieci tracce strumentali e cantate collegate fra loro dal tema dell’alienazione, dell’appartenenza e della non-appartenenza. Il titolo stesso presenta un quadruplo livello semantico e di significato: il gioco di parole tra “italiano” ed “alieno” (da cui la crasi “italieno”), che racchiude il senso di sentirsi smarriti nella propria cultura di riferimento; l’asterisco che neutralizza il termine e lo assurge ad un genere universale, introducendo così il concetto di smarrimento all’interno del binarismo di genere espresso dalla lingua italiana.
Lo abbiamo intervistato per voi.
- Ci incuriosisce, tra le altre cose, la tua attività come compositrice compositore per musica da film. Com’è iniziato tutto? E che tipo di formazione credi si debba avere?
Il mio percorso di formazione in Conservatorio è stato lungo (quasi decennale) e inizialmente non avevo chiarissimo dove mi avrebbe portato, facevo più che altro tutto con grande istinto e per sete di conoscenze e competenze: negli anni quello di aver investito nel formarmi come compositore per la musica da film si è rivelata un’ottima scelta, perché da alcuni anni è ciò che mi permette di avere una stabilità economica e lavorativa. Non credo ci siano percorsi obbligati, credo si possa arrivare allo stesso risultato attraverso tante strade: senza dubbio però la curiosità, lo studio e la pratica sono ingredienti essenziali per l’arte, nel modo più incline a ciascuna persona.
- Ci racconti la connessione tra la copertina e il disco?
Con grande piacere. Innanzitutto la copertina è in parte frutto del destino, in parte frutto di una scelta deliberata. Del destino nel senso che l’immagine centrale, quella di due ragazze al mare, parte dal ritrovamento di una diapositiva un mattino in una piazza a Roma, anni fa. L’ho conservata fino al momento in cui poterla usare, mi ha da subito colpito perché oltre ad essere una bellissima foto (chissà chi l’ha scattata e chi sono i soggetti ritratti, fra l’altro) è particolare perché a guardare meglio una delle due persone sembra che stia a sua volta scattando una foto all’altra. Una meta-foto insomma, una foto nella foto, il tipo di cose che mi intrippa totalmente. La scelta è stata poi su come comporre il resto dell’immagine fino a confezionare la versione definitiva, cosa avvenuta ad opera delle sapienti mani di Alessandro Ottodix Zannier, mio collega musicista e graphic degner, un artista a 360 gradi insomma. Ci siamo ispirati agli sci-fi movies anni ’70, tirando un filo sottile fra le cartoline della Riviera Adriatica italiana e quelle delle spiagge della California degli stessi anni.
- E da dove deriva questa tua fascinazione per tutto ciò che, anche a livello metaforico, è considerato alieno? E in che ambiti tu stesso potresti essere un alieno?
La fascinazione nasce prima di tutto da un’esigenza espressiva molto personale. Con la pandemia tanti di noi si sono trovati a vivere una condizione mentale di paura e di isolamento, che ha portato alla messa in discussione di tante dinamiche, sociali, personali. In particolare credo che gli effetti negativi abbiano colpito gli artisti del settore dello spettacolo, creando sia un danno materiale sia una messa in discussione di quello che è il nostro ruolo. Ho iniziato a progettare Italien* nel 2020 e in quel contesto la mia immaginazione si è subito spinta a cercare appoggio nella cultura occidentale post boom economico, gli anni ’70 in cui appunto iniziano a proliferare le teorie e le opere di fantascienza, dove la minaccia aliena fa da specchio a quella interiore, umana, di una società già pronta la collasso. Se ci si pensa, ci sono tantissime analogie fra allora ed oggi, inclusa la contrapposizione fra il blocco sovietico e gli USA, che oggi prende altre forme ma si respira un clima politico molto simile. Ho visto dunque la pandemia come uno scenario apocalittico teatro delle nostre paure più profonde e inconfessabili.
Personalmente, mi sento un alieno in molti ambiti: musicale senz’altro, perché non sono mai stato ben classificabile ma ho sempre portato avanti la mia ricerca fregandomene dei generi, e dal punto di vista identitario poiché ho fatto coming out come persona trans* non binaria, facendo determinate scelte sulla mia espressione di genere che non sempre sono facilmente incasellabili. Ma, di nuovo, anche in questo caso mi verrebbe da istituire un paragone con la scena musicale anni ’70, se si pensa alla libertà espressiva che un artista come David Bowie aveva anche sul tema della fluidità di genere, oggi a confronto sembra che siamo retrocessi. Le persone queer sono sempre esistite e sempre esisteranno, ma, quando le maglie del sistema iniziano a diventare troppo strette, chi si discosta (apparentemente) di più dai paradigmi tradizionali finisce per risultare un corpo estraneo alla società, quando in realtà siamo tutte e tutti esseri umani e per tanto degni di rispetto e diritti. É tanto semplice, ma qualcuno, specialmente ai vertici della classe politica, ama occupare il proprio tempo perseguitando le minoranze anziché facendosi carico dei problemi reali che affliggono il nostro tempo: integrazione etnica, disoccupazione, crisi climatica, giusto per citarne alcuni.
- Ci racconti il tuo incontro con Gelo Dischi, Stefano Castelli e Luca Urbani?
Conoscevo Luca Urbani di fama, sia per il suo periodo come cantante nei Soerba sia per la sua successiva affermazione sulla scena pop come producer, abbiamo conoscenti in comune come ad esempio Lele Battista, ma di persona non lo avevo mai incontrato. Castelli invece lo avevo conosciuto artisticamente attraverso il suo album precedente, “Castelli”, del 2021. Non avevo idea che avessero fondato un’etichetta finché non ki ha suggerito di contattarli il mio ex manager, Gianni Cicchi, dopo aver sentito l’album per il quale cercavo un’etichetta che mi sostenesse nella pubblicazione.
- E se “Italien*” fosse un film?
“Alien” e “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”.
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