Dopo un video curioso e stralunato come quello di “Giuro non avevo capito”, il cantautore romano Bombay colpisce ancora: “Meduse” è il nuovo singolo, questa volta nettamente più malinconico, appena pubblicato. Gli abbiamo rivolto qualche domanda.
Ciao Bombay, ci racconti un po’ di te?
Ciao Tutti giù parterre. Io sono Bombay e scrivo canzoni. Una dietro l’altra. Quando mi sembrano ok le pubblico, quando mi sembrano meh me ne dimentico. Abito a Roma e mi lamento come tutti i romani ma meno di tanti amici miei. In fondo mi piace, è una città coatta dove di mercoledì puoi andare a sentire musica, in un posto sconosciuto, e incontrare altri pazzi come te che pensano “ammazza quanti pazzi di mercoledì a sentire questi sconosciuti”. Però poi quegli sconosciuti sono gli Havah. Pubblico canzoni dal 2014 e voglio continuare a farlo, mattoncino dopo mattoncino, come in un set Lego che ad ogni bustina cresce sempre di più.
Qual è il messaggio principale che vuoi comunicare attraverso il singolo “Meduse”?
Sono onesto. Non ho trovato il senso di Meduse fino a che non l’ho ascoltata una volta finita. È stata una delle pochissime volte in cui non mi sono concentrato sul testo ma ho preferito godermi la melodia. Anche se poi, una volta finita la canzone, e ascoltandola con attenzione ho capito che il testo mi parlava, lanciava un messaggio potente. È che quando non c’è più niente da dire, anzi quando si è detto troppo e ci troviamo insopportabili, allora è meglio andare via, lontano se possibile, lasciare agli altri il fastidio dei ricordi. Ed è così forte la voglia di scappare che addirittura nella canzone scappo in moto, figurati io non ho neanche lo scooter, vado in bici, ma la moto rende bene questa idea di fuga e fa anche un po’ Akira.
Cosa ha ispirato la scrittura di questa ballad pop e in che modo si collega al tuo nuovo disco?
Credo che l’ispirazione per menti istintive come la mia sia una roba che svolazza in aria senza una meta precisa agitando dei tentacolini che ogni tanto ti toccano, come le meduse, e in quel preciso istante avviene la sintesi perfetta della creazione. Non sono in gradi di dire chi o cosa mi abbia fatto venire in mente la melodia di Meduse ma ti dico che mi si è attaccata addosso come un chewing gum e, fino a che non ho finito il pezzo, non se ne è più andata. Quando sono andato in pellegrinaggio da Riccardo Pasquarella per presentargli le mie canzoni portavo con me uno zaino pieno di melodie, di canzoni, tante ma tante, e lui ha scelto di produrre quelle che preferiva e ha scelto anche questa. Anzi Meduse è addirittura una delle sue preferite.
Come descriveresti il tuo stile come cantautore e come si evolve nel tempo, specialmente dal 2014 a oggi?
Assolutamente casuale. Istintivo. Incosciente. Nulla è cambiato dagli inizi: sono sempre acerbo, immaturo, inadatto a grandi pubblici. Ma mi ritrovo molto bene in un ambito più dimesso, meno performante, intimo diciamo, vado forte nelle soffitte dei giovani professori universitari o sui furgoncini degli operai che vanno al cantiere mentre bevono Peroni alle 7 di mattina, non mi sento uno da classifica, preferisco la calma di una passeggiata su Viale Jonio
Dici che il tuo album arriverà a breve ma non a brevissimo: a che punto sei?
È finito, ed è bellissimo. Non manca molto all’uscita. Sinceramente vorrei che trovasse posto tra le cose carucce che ho fatto ma è ancora un po’ cagionevole, deboluccio deve farsi le ossa. Io e Riccardo abbiamo deciso che però basta, adesso è arrivato il suo momento di farci vedere quanto vale, noi lo abbiamo coccolato, anche troppo a lungo, ed è giusto che ci ripaghi di tutte le fatiche cha abbiamo fatto per lui. Gli abbiamo detto “Bellomio svegliati, là fuori è un jungla vai e mordili tutti!”
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