In un panorama musicale spesso frenetico e alla ricerca del prossimo tormentone, Accame sceglie di rallentare, di prendersi il suo spazio e di raccontare una storia con semplicità e sincerità. Colpo di Fulmine, disponibile dal 20 dicembre su tutte le piattaforme digitali, è un brano che sfugge alle regole del mercato e si concede il lusso di essere autentico.
Non aspettatevi ritornelli esplosivi o beat incalzanti: questa canzone è un sussurro più che un grido, una lettera scritta a mano su un tovagliolino in una sera d’estate. La chitarra, onnipresente e rassicurante, detta il ritmo con costanza, mentre gli archi, i sintetizzatori e un’armonica finale quasi malinconica si inseriscono senza rubare la scena. È come se ogni elemento sapesse esattamente quando parlare e quando farsi da parte.
Il testo, in rima baciata, sembra provenire da un altro tempo, quando le parole erano scelte con cura e il loro peso era fondamentale. Non c’è traccia di frasi costruite per diventare caption su Instagram, e questa è una boccata d’aria fresca. Accame non gioca a fare il poeta, è un poeta, e lo fa con una naturalezza che conquista.
Ma il vero punto di forza di Colpo di Fulmine è il suo equilibrio. Nulla è fuori posto, nulla è eccessivo. La voce di Accame è calda, leggermente ovattata, quasi a voler fondersi con gli strumenti più che dominarli. È una scelta che potrebbe sembrare controproducente in un mondo abituato a voci cristalline e in primo piano, ma che qui funziona perfettamente.
Colpo di Fulmine è una canzone che non vuole spiegare troppo, non vuole guidarti per mano: ti lascia lì, a occhi chiusi, con una vecchia cassetta che gira su uno stereo impolverato. È un piccolo frammento di qualcosa di più grande, un momento che passa ma che, se ci si lascia andare, può restare.
Non sarà forse il brano più radiofonico di fine anno, ma è sicuramente uno dei più sinceri. E in fondo, in un’epoca dove tutto è perfetto, levigato e costruito, la sincerità è già una piccola rivoluzione.
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