Cronaca di un live dei Coma Cose al Largo Venue de Roma
di Marco Improta.
foto di Alessandro Bachiorri.
Mi squilla il cellulare. È il mio amico Pasquale.
“Pronto”.
“Marco! Sono le 15 e 30 di venerdì pomeriggio e ho già voglia di 4 negroni senza ghiaccio. Stasera dobbiamo impostare ‘na serata selvaggia”.
“Guarda Pasquà, io stasera vado al concerto dei Coma Cose che devo fare un report per Tutti Gi..”.
“Di chiiii?”.
“…dei Coma Cose”.
Si ammazza dalle risate. Non segue tanto la scena indie.
“Bello bello, concerto dei Coma Coma e 4 negroni, hanno il nome perfetto per noi”
“Non Coma Coma, Come Cose…”
Ride ancora di più.
“4 negroni e Coma Coma, ci sta, è consequenziale, daje bro a stasera”
Attacca.
Io lo ripeto da solo:
“Coma Cose… Anche se effettivamente pure Coma Coma…”
Il concerto è a Largo Venue alle 22.
Mi do appuntamento col fotografo contattato da Tutti Giù Parterre e che non conosco.
“Alessandro per le 21. 30 arrivo lì”
“Perfetto Marco, anch’io sarò lì per quell’ora”
Faccio un casino e arrivo alle 21.50. Ottimo.
Incontro il buon Alessandro e ci affacciamo dentro: la sala è ancora vuota, quindi torniamo fuori e ci sediamo a un tavolino a bere una birra.
Io gli faccio un botto di domande sul mondo dei fotografi professionisti, lui mi racconta un sacco di aneddoti su personaggi tv, gente del cinema e cose così. A me sembra di ascoltare una sceneggiatura a metà tra la Grande Bellezza di Sorrentino e Professione Vacanze di Jerry Calà. Mi fa volare. Lo stimo già incondizionatamente.
Alle 22.20 torniamo dentro. Si sta riempendo. Pare abbiano fatto sold out di prevendite online, son previste tipo mille persone. Mi sembra una previsione azzeccata. Il problema è che alle 22.40 dei Coma Cose non c’è traccia e io sono già alla terza birra.
La sala è tagliata in due da un’interminabile fila per la cassa del bar. Ma perché non arriviamo già tutti ubriachi e presi bene ai concerti?!
Le 23 e ancora nulla.
Mi sembra di esserci già passato, mi sembra l’inizio del concerto mai iniziato di Young Signorino al Monk.
Nel frattempo dalle casse esce Pesto di Calcutta e la cantano tutti. Tutti. Pure quella al guardaroba dà i resti urlando UEEEEE DEFICIENTEEEEE.
Insomma l’indie è qui. I Coma Cose no. E se ne stanno andando anche i miei soldi in birre d’attesa. Che poi son le peggiori.
E così passo il tempo a guardare gli outfit delle persone che a ‘sti concerti danno sempre grandi soddisfazioni: giacca scamosciata da aviatore in pensione su camicia hawaiana, maglietta con su scritto VTTNFFNCL che credo sia il codice fiscale dell’amore, tute Adidas ovunque come se fossimo a Tirana, immancabile tipo con la maglietta Jack Daniel’s, diversi giacchetti jeans stile Ambra Angiolini a Non è la Rai. E poi un’altra canzone di Calcutta. Un’altra birra.
23.20.
Coma mortacci vostra Cose.
Poi parte Fine dell’estate, quando i Thegiornalisti erano ancora di nicchia. Anche questa la sanno tutti e la cosa, non so bene perché, mi fa sentire a casa.
Alle 23.32 i Coma Cose decidono di alzare le chiappe e venire sul palco a cantare.
E iniziano col botto: Anima Lattina, così, subito, senza vaselina.
E ci sanno stare sul palco. Se lo cavalcano proprio il palco. E chiamano il casino del pubblico con quell’accento milanesella da terzo Martini sul Naviglio Gange.
Cantano tutti. E durante Post Concerto, dopo le parole “can che abbaia non Moroder” tutti fanno “woof”. Rido tantissimo.
Accanto a me c’è un tipo mingherlino con camicia ordinata, ricciolini e occhialetti da nerd. Sembra il fratellino di Sheldon Cooper. Butta delle fischiate da pastore abruzzese.
E insomma dopo mezz’oretta scarsa di live ad alti livelli, i Coma Cose ci dicono che c’è ancora un’altra cosa, un regalino per noi. E partono con Acida dei Prozac+.
Viene giù il locale.
Ballano anche i baristi lanciandosi il ghiaccio.
Cazzo il mondo dovrebbe finire con una scena simile.
E dopo che ci hanno sapientemente sfiniti, c’è la botta di onestà: “Allora noi i pezzi li abbiamo già finiti, quindi partiamo coi bis”.
Carucci. Si fanno voler bene.
E allora di nuovo Anima Lattina. Di nuovo Post Concerto.
E a mezzanotte e dieci è tutto finito.
E mi accorgo di avere ancora un drink in tasca e nessuna voglia di berlo. Porca vacca. Lo regalo a una che mi guarda incredula come se le avessi regalato una settimana per due persone a Disneyland.
Poi esco fuori e raggiungo amici altrove. Nell’altrove oscuro ed etilico del venerdì sera.
E facciamo le 3 nei dintorni di Piazza Bologna a mangiare pangoccioli artigianali e a parlare di massimi sistemi.
Anime lattine.
Anime disperse.
Anime ritrovate.
P.s.
Pasquale non ci è più venuto al concerto, ma la mattina dopo mi manda un vocale:
“Comunque Facebook mi ricorda che oggi c’è la sagra delle castagne. Mi sembrava giusto dirtelo”.
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