Disponibile su tutte le piattaforme da venerdì 5 aprile 2024 il nuovo album del progetto Dropout dal titolo “Sulla fine delle cose”. Un disco intimo, forse al principio straniante, da scoprire ascolto dopo ascolto: 10 pezzi apparentemente facili per tempi notoriamente difficili. Un profondo e denso percorso introspettivo sul tema della fine delle cose. Atmosfere cariche di nostalgia per quegli eventi lontani nel passato che hanno contribuito alla costruzione di sé. Eventi che si odiano per la loro brutalità ma contemporaneamente, con il passare del tempo, si cominciano ad amare, non senza malinconia (ma mai tristezza), perché facenti parte della propria formazione. Musica suonata, spesso improvvisata seguendo il flusso, senza l’egida del metronomo, a volte perfino senza percussioni, scarna fino all’osso, alternata a pezzi ricchi di strumenti, più disciplinati e complessi. Metriche tendenzialmente bisillabiche dunque ardue e sperimentali per un cantato in lingua italiana, bassi tellurici “808” presi in prestito dalla cultura Hip Hop, niente effetti speciali, nessuna rete di sicurezza tessuta con l’Autotune, melodie fondanti che come illusioni paiono echeggiare qualcosa dietro la curva dei ricordi ma che in realtà non assomigliano a niente di già sentito. Musica contemporanea che esplora puntando avanti senza voler per forza spezzare il dialogo con il passato. Parole cesellate e potenti, che si insinuano e che rimangono impresse.
Abbiamo intervistato l’artista per saperne di più:
Chi è Dropout nella musica e chi è invece nella vita di tutti i giorni?
Dropout è un progetto multimediale artistico indipendente che è in corso d’opera ormai da diversi anni.
Davide invece è il Clark Kent che nel quotidiano cerca di mantenere in piedi la baracca dal punto di vista della sostenibilità, sia intellettiva che meramente economica.
Quali sono secondo te i progetti più interessanti dell’attuale scena musicale italiana?
Vivendo all’estero, posso avere una visione ampia, distaccata e piuttosto critica della situazione artistica generale italiana. In particolare penso che la musica nostrana stia attraversando un periodo davvero avvilente in quanto a nuove proposte, dove non riscontro né granché di interessante sia a livello tecnico che compositivo, né stimolante e innovativo a livello comunicativo. In parallelo ritengo che a livello generazionale globale l’avvento del passaggio di millennio abbia repentinamente interrotto quell’importante filo comunicativo che si ripeteva regolarmente di generazione in generazione, impoverendo e azzerando di netto la cultura di questo tempo.
Già questo problema si manifestava per i passaggi di secolo, dove sono infatti documentati stravolgimenti forzati come ad esempio il Futurismo che ha portato, con la sua furia ideologica di rinnovamento a tutti i costi, al primo conflitto mondiale, figuriamoci quindi adesso che c’è stato di mezzo addirittura un cambio di millennio. Purtroppo si tratta di una mera quanto banale questione di percezione numerica, un fatto psicologico collettivo piuttosto pericoloso.
Succede quindi che tutto ciò che c’era prima viene rifiutato a priori, e questo ha resettato l’evoluzione. Di qui le riscoperte piuttosto naïve e a tratti imbarazzanti da parte di queste generazioni successive, e che per le stesse ragioni insistono a anche ad essere impermeabili alle critiche costruttive.
L’impoverimento culturale e artistico, a livello qualitativo, è palese, e l’Italia soffre ancor di più, primo per una scarsa identità nazionale nella musica contemporanea, troppo dipendente da un’esterofilia dilagante, e secondo per le strutture di supporto a questa industria praticamente inesistenti dalla parte politica.
Ritengo inoltre che la cultura Hip Hop all’origine di molti generi attuali abbia ormai perso la sua forza impattante, anche per questioni fisiologiche in quanto sono ormai 40 anni che è in atto. C’è bisogno di più poesia, più umanità, più complessità e di un ritorno alla musica suonata, a mio avviso.
Per tornare però alla domanda, personalmente, mi rimane la salvezza di ascoltare il sottobosco che si muove e prospera in modo avulso al mainstream e a queste assurde limitazioni anagrafiche.
Quindi trovo attualmente maggiore conforto nell’ascolto di artisti come Isonouncane, sia come autore che come produttore con Tanca, di Sarah Stride, de I Fiumi, di Riccardo Sinigallia, di Lucio Corsi, dei Santamarea, dei ritrovati La Crus, ma anche, come dicevo alternativi come i Giardini di Pietra, She’s Analog, Kill Ref, i Malpertugio, il DJ Claudio Iacono, i Gioventù Bruciata/Blood ’77, i Wunder Kammer Orchestra (WKO), e molti altri ancora. Ma non per questo dispero quindi continuo a sondare le nuove proposte in cerca di un barlume.
Ci sono degli elementi ricorrenti nei tuoi brani? Quali sono e come si palesano all’interno del tuo album “Sulla fine delle cose”?
La conclusione di un periodo, ovvero La Fine Delle Cose sembra sempre arrivare troppo presto (o troppo tardi), lasciandoci spesso a riflettere sul dove sia finito il nostro tempo e se gli sforzi compiuti in una certa direzione abbiano mai avuto un senso.
Mentre i dettagli dei nostri ricordi possono gradualmente sbiadire, le emozioni e gli stati d’animo rimangono intatti, come gradini che ci elevano a una nuova evoluzione spirituale. Ogni fine della storia porta con sé un nuovo inizio, un’opportunità per crescere e rigenerarsi, anche se ciò ci costringe fuori dalle nostre confortevoli zone di sicurezza e ci fa confrontare con il mutamento inevitabile del passato. Tuttavia, ci sarà sempre un territorio in cui possiamo ricominciare.
Non dovremmo temere dunque la fine delle cose, poiché non segna la Fine vera e propria, ma solo l’inizio di un nuovo capitolo della nostra storia, un passo verso qualcosa di nuovo, che si rivelerà presto un’altra eccitante possibilità di trasformarci in qualcosa di diverso e migliore.
Questo è il filo conduttore dell’ultimo lavoro.
Qual è la, a tuo avviso, la situazione ideale per ascoltare questo disco?
Questo è un lavoro che non credo si possa sentire superficialmente, piazzato in sottofondo quando si fa altro, o magari addirittura inserito in playlist con altri generi. In qualche modo ritengo che si perda perché nasce da un concetto, da un discorso organico che parla di temi universali in un modo piuttosto intenso e non retorico (nel senso che ha davvero poche ripetizioni e ritornelli che potrebbero facilitarne una fruizione disattenta), se invece lo ascolti con attenzione e lo segui prendendolo per il verso giusto ti saprà portare in dimensioni oniriche interessanti.
C’è chi lo ha definito perfetto per il viaggio o per la meditazione personale e in qualche modo sono d’accordo con questa affermazione.
Prossimi progetti per il 2024?
Sto giocando da un po’ con un campionatore molto particolare, creando nuovi suoni alla “Dropout”, e qualche nucleo di idea l’ho già sentito sbocciare.
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