I Quercia sono un quintetto che nasce per divertimento e necessità a 60 km da Cagliari all’inizio del 2016. Il 7 settembre dello stesso anno la band pubblica timidamente su bandcamp l’ep autoprodotto Non è vero che non ho più l’età, che pochi mesi dopo viene pubblicato ufficialmente e distribuito dalla label indipendente italiana V4V. Ciò che caratterizza i ragazzi è l’attitudine punk, collante che amalgama le molteplici influenze musicali dei singoli componenti, tra cui alternative, post hardcore, emo, screamo e post rock. Il 16 Settembre si esibiranno con un insolito set acustico all’Ostello Bello (Via medici, Milano). Nel frattempo abbiamo fatto qualche domanda sul loro progetto e sulle prospettive future. Ecco cosa ci hanno raccontato.
Il nome che ogni artista sceglie di dare al proprio progetto musicale è sempre molto significativo. Da dove nasce il nome Quercia?
Subito dopo aver concluso le registrazioni e il mix dell’EP non avevamo ancora un nome per un eventuale progetto musicale che sarebbe potuto nascere, ci piaceva Il peggio di me nella mia macchina blu, ma ci accorgevamo del fatto che fosse impensabile. C’era un significato dietro, ma l’intenzione era quella di prediligere un nome che semplicemente suonasse bene, a discapito di un qualsiasi significato più o meno profondo. Sapevamo solamente che ci sarebbe piaciuto un sostantivo singolare femminile in italiano. Allora, nella stessa casa in campagna in cui l’EP era stato concepito e scritto nelle settimane precedenti, abbiamo passato intere serate a sparare parole, una dietro l’altra, finché non è uscita la parola Quercia e le nostre espressioni soddisfatte in sincrono ci hanno suggerito che quel nome tutto sommato ci piaceva. Dopo l’abbiamo pronunciato altre cinquecento volte a voce alta e ci piaceva ancora, soprattutto per la lettera iniziale Q.
Come vi siete conosciuti e come è nata la vostra collaborazione?
Alla fine ci si conosceva tutti e cinque da anni, per un motivo o per un altro è capitato numerose volte nel corso degli anni che ci si incrociasse per eventi dal vivo, jam session, prove in studio o progetti musicali comuni. Veniamo tutti da esperienze musicali decennali e variopinte, diametralmente distanti tra loro e tutte stracolme di esperimenti e crossover nati e morti negli anni. Ma voi ci avete chiesto come siamo nati. Fine 2015: Luca torna a casa dopo un anno passato a lavorare e comporre in Scozia, Cristiano gli chiede una mano per stendere dei testi su cinque musiche che ha composto negli ultimi mesi, e allo stesso modo chiede a Stefano di dargli una mano con la stesura delle linee di batteria. Quindi, Cristiano e Stefano si vedono in sala e registrano con il telefono delle strutture approssimative “batteria + chitarra” dei cinque brani. Quelle registrazioni distorte vengono poi utilizzate da Cristiano e Luca per incastrarci sopra testi e metriche, presso la casa in campagna di Cristiano, davanti al caminetto e con un numero molto importante di birre stappate. Nel giro di una decina di giorni vengono chiusi i cinque brani e ne saltano fuori altri tre (tra cui Mida che viene composta in dieci minuti e registrata in quindici). Non sappiamo bene di cosa si tratta ma non ci suona male, allora decidiamo di buttare soldi in studio per poter riascoltare i pezzi registrati bene, e registriamo l’EP Non è vero che non ho più l’età. Il progetto inizia a piacerci e la formazione si completa con l’innesto di Riccardo alla chitarra e Matteo al basso, e da lì siamo stati contenti perché potevamo portare dal vivo quei brani nati per caso.
Come nascono i testi e le melodie delle vostre canzoni?
Stefano, Riccardo e Matteo vivono in Sardegna, mentre Cristiano vive a Bologna e Luca a Milano. Già per questo è difficile riuscire a portare avanti il progetto in modo autentico e coinvolto, contando poi le varie difficoltà che abbiamo sempre incontrato e continuiamo a incontrare tra chi di noi studia e chi lavora, abbiamo dovuto trovare un modo di continuare a comporre con la stessa autenticità e lo stesso feeling di sempre. Nell’ultimo anno e mezzo abbiamo imparato a valutare e sfruttare i lati positivi di essere in cinque, pur essendo distanti: abbiamo a disposizione cinque paia di orecchie, cinque background musicali differenti, cinque esperienze di vita diverse, che tanto poi in qualche modo tutto viene amalgamato da un nostro mood comune dettato dal rapporto di fiducia e amicizia che ci lega. In genere Luca si occupa dei testi, dal contenuto alla forma, mentre le musiche vengono principalmente impostate da Cristiano e Riccardo, i due chitarristi. Matteo e Stefano sono fondamentali in fase di rifinitura, sono due persone che hanno una vasta cultura musicale e un ottimo gusto estetico, perciò capita solitamente che le linee di batteria di Ste decidano come i brani devono “camminare”, mentre Matte trova sempre ottime soluzioni per quanto riguarda il modo in cui voce e chitarre vanno a incastrarsi nella forma finale del prodotto. Tutti hanno voce in capitolo su tutto, e quando un brano che componiamo riesce ad emozionare tutti e cinque allora ci siamo.
Nonostante il fatto che il vostro progetto possieda un retrogusto tipicamente emocore / punk, il pubblico vi ha spontaneamente collocati all’interno di quella che poi è diventata la scena indie italiana. Cosa ne pensate? Vi ci ritrovate?
Noi non ci sentiamo assolutamente di appartenere al movimento che si è venuto a creare attorno a questa definizione in Italia negli ultimi due anni. Quando abbiamo pubblicato l’EP non c’era nulla di tutto questo. Cioè, per dirti, non avevamo mai sentito dire da nessuno che i Gazebo Penguins appartenessero all’indie, anche perché non c’era tutta questa confusione, non ce n’era bisogno. Nel senso che conoscevamo la parola, ma per noi voleva dire altro. Poi c’è da dire che a noi fanno soffrire le etichette in generale, soprattutto quelle nate in fretta e in modo confuso, perché si tratta di convenzioni che si evolvono in pregiudizi nel giro di una settimana, nel senso che [super burla: vedi domanda numero 10]. Nostra culpa: i singoli che abbiamo scelto diestrarre, nonché quelli che in fin dei conti ci piacevano meno, ci collocavano immancabilmente all’interno di quella sfera stilistica lì. Quindi non ci permettiamo di dire di non avere affinità con questo tipo di percezione stilistica, solo che semplicemente è lei parte di noi, non noi parte di lei.
Sono passati ormai due anni dal vostro EP “Non è vero che non ho più l’età”, avete in cantiere qualcosa di nuovo? Soprattutto cosa dovranno aspettarsi i vostri fan?
Il primo LP dei Quercia, che intanto sono cresciuti e hanno avuto il tempo necessario per avere sempre meno fiducia in tutto ciò che rende leggeri per un attimo e pesanti per una vita. O magari il contrario, non lo capiremo bene finché non lo ascolteremo. Ad ogni modo, basta interpretare un attimino la risposta qua sopra per capire verso quale direzione il nostro gusto compositivo si è evoluto in questo ultimo anno e mezzo.
Come mai, dopo un tour completamente in elettrico, avete scelto quasi a sorpresa di proporre un set acustico?
Amici, dobbiamo essere onesti: il motivo primario è l’autofinanziamento. Cristiano e Luca si trovano già sulla terraferma, a un’ora e dodici minuti di Italo di distanza tra loro, il che rende fattibile l’esecuzione di un set acustico in giro per varie città d’Italia, che in elettrico risulterebbe assolutamente proibitivo fuori da un eventuale tour. Questo è il motivo principale, anche se in realtà dopo le prime date in acustico ci siamo resi conto di quale atmosfera intima e confidenziale tra noi e le altre persone presenti si possa venire a creare durante concerti di questo tipo. Quindi, insomma, approfittiamo di queste date in acustico per avere un contatto direttissimo con chi ci viene a trovare, e per iniziare a suonare qualche pezzo nuovo in chiave acustica, in modo da poter avere dei pareri a caldo spassionati circa il nostro materiale finora inedito.
Essendo sardi, cosa pensate della scena musicale in Sardegna?
Non sappiamo bene se parlare di scena. A fare musica in modo impegnato e assiduo non siamo neanche in troppi in fin dei conti, ci si conosce più o meno tutti, o al massimo si hanno conoscenze (o addirittura amicizie) in comune, e prima o poi si ha a che fare gli uni con gli altri. Vediamo il panorama isolano con grande tristezza, perché ci accorgiamo che la realtà artistica sarda non avrà mai modo di affermarsi veramente.
Nonostante le grandi difficoltà causate dalle distanze con la penisola, voi siete riusciti a farvi conoscere un po’ dappertutto. Cosa pensate che possa aiutare un musicista sardo a farsi conoscere anche in “continente”? E quali consigli dareste ad un artista sardo che vorrebbe suonare fuori dalla Sardegna?
Non ci sentiamo in grado di dare consigli, pensiamo di essere stati in qualche modo fortunati quanto sprovveduti. Diciamo che nel nostro caso i fattori sono stati pochi, random e velocissimi: abbiamo scelto i giusti singoli da estrarre (anche se ora, tornando indietro, non prenderemmo sicuramente quelle stesse decisioni); siamo stati fortunati ad uscire con un prodotto affine al fenomeno che immediatamente dopo è esploso in maniera incontrollata in tutta Italia; nessuno di noi si aspettava niente da questo progetto, il che ci ha concesso di imprimere all’interno del prodotto una spontaneità tale da essere stata poi in qualche modo un nostro quid pluris; pur non aspettandoci niente da questo progetto, abbiamo voluto investire in esso anche solo per avere tra le mani un prodotto di cui, per lo meno, essere soddisfatti noi, dall’EP in sé al videoclip, alla promozione sul web.Forse è questione di autocritica. Noi che dall’Isola non possiamo accedere per ovvi motivi a chissà quale rete di contatti abbiamo un solo modo per “uscire”: fare bella musica. E c’è solo un modo per fare bella musica: non vergognarsi davanti alle proprie sensazioni più intime e avere un senso critico tale da capire quando una produzione possiede un valore assoluto che, se ben sfruttato, la possa far girare. Persone come Salmo e Iosonouncane ne sono la testimonianza lampante.
Ultimamente, soprattutto con l’(ab)uso dei social, in rete ci sono sempre più progetti musicali. Secondo voi quanto conta la notorietà online?
Conta relativamente, la notorietà online è un indicatore, niente di più. Può voler dire che hai investito un sacco di denaro nella promozione del tuo progetto (magari anche con l’acquisto stesso di follower, al fine di ostentare una notorietà fittizia che di per sé fa notizia tanto da concretizzarsi), può voler dire che sei bravo a curare la tua rete di contatti e a sponsorizzare il tuo prodotto, può voler dire che spendi tanto tempo nella cura dell’estetica con cui il tuo progetto si presenta, oppure può voler dire che fai bella musica e le persone ti seguono per questo motivo e consigliano la tua musica ad altre persone che poi la consigliano ad altre persone. La prova del nove è il live, la prova del nove sono le persone che vengono abbracciarti dal vivo perché ci tengono a ringraziarti, perché con la tua produzione hai fatto qualcosa di bello per loro. Internet ha illuso le persone che fama e notorietà potessero e possano essere finalmente sinonimi, ma non è così e mai lo sarà. Diciamo che la proporzione tra notorietà e fama è la stessa che intercorre tra comprare qualcosa e guadagnarla.
Sempre in riferimento al fatto che con il web sia sempre più facile farsi conoscere, specialmente attraverso l’utilizzo smodato dei social network, pare che oggigiorno tutti vogliano essere “artisti indie”. Secondo voi qual è la piega che potrebbe prendere questa nuova wave “indie/itpop”?
Amici, scusate la brutalità, ma l’indie è una bugia. O meglio, l’indie è una percezione di qualcosa, è un mood. Rispondiamo alla domanda con una domanda: quali caratteristiche prettamente tecniche e/o estetiche e/o stilistiche accomunano Calcutta, Cosmo, Liberato, Coma_Cose, Niccolò Contessa, Pop_X, Liberato, Selton, Lo Stato Sociale, FASK e qualunque altro prodotto finito in questo grande e vago calderone? La risposta è che per dieci artisti appena citati abbiamo dieci generi musicali differenti. Quindi, alla fine, che cosa è l’indie, se non è un genere musicale? Ecco, bella domanda: cosa è l’indie? Pressoché nulla, se non una percezione di qualcosa che dovrebbe in teoria essere l’alternativa alla cultura dominante. Il nuovo indie italiano ha preso forma come nuova percezione di musica alternative, agglomerando al suo interno una marea di opere tra loro eterogenee con uno stesso intento/concetto di base, ma sono le stesse “indie-label” auto-elette paladine della nuova musica underground italiana ad aver sfacciatamente approfittato di questa isteria di massa e ad aver ucciso ciò che c’era ancora di bello in questa favola senza una vera morale. Quelle stesse indie-label che si sono lamentate per dieci anni delle major lobbiste e conservatrici, e che non appena ne hanno avuto potere e occasione si sono comportate in maniera molto più vergognosa rispetto alle grandi case discografiche stesse che criticavano tanto (e che ora curano loro le distribuzioni). Ad ogni modo, dacché non è giusto fare di tutta l’erba un fascio, va detto che dentro questo calderone ci sono anche un po’ di cose toghe.
Date un consiglio qualunque a tutti i parterriani che leggeranno questa intervista.
Non sarà uno, saranno un po’ ma velocissimi: andate ai concerti, non fatevi accecare dalle tendenze senza prima aver capito il motivo per cui sono divenute tendenze, diffidate dai talent show che sono dei tritacarne a forma di Jacuzzi, sperimentate in qualunque forma di espressione vi stia aiutando a dare forma alle vostre sensazioni durante il giorno, non sprecate tempo a odiare chi non può ricambiare il favore, amate senza vergogna né paura che non serva a nulla, se ci intercettate in giro incastrateci a bere con voi che tanto saremo già in ritardo ovunque staremo andando e non sarà un problema tardare ulteriormente.
Allora cosa aspettate? Ci vediamo il 16 Settembre insieme ai Quercia che suoneranno all’Ostello Bello (via medici 4).
Emanuela Mereu
settembre 13, 2018vi amo