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IN STUDIO CON I RAGAZZI DEL MASSACRO – Com’è nato il disco Babylon Club

Davide De Santis, cantante e chitarrista dei Ragazzi Del Massacro, ci porta con lui in studio dove è nato il loro nuovo disco Babylon Club.

Il vostro nuovo album si chiama Babylon Club. Ci raccontate innanzitutto dove l’avete scritto?

In genere quest’album come tutti quelli precedenti non vengono scritti in un luogo preciso. I brani hanno sempre un comune denominatore a seconda dell’album, quello sì, ma nascono in modo acustico, per poi prendere una versione definitiva ed elettrica dopo molte prove nella nostra saletta. A volte scrivo i pezzi anche registrando solo il testo e la melodia al telefonino quando mi viene in mente uno spunto girando per strada, per poi affinarlo a casa. Ma il brano vero e proprio e finale prende corpo quando siamo tutti insieme in saletta. Nel caso di Babylon Club credo che le prime canzoni abbiano almeno un anno di vita da quando le abbiamo inserite nel disco.

Come si è strutturato il processo creativo del disco? Avete scritto prima le musiche o i testi?

È stato un lungo processo, il fine era quello di parlare della città come spazio di vita e come sfondo di storie diverse, raccontate dal punto di vista dei protagonisti, dove ognuno è vittima o carnefice per quelle che sono le nevrosi, le dipendenze e anche le meraviglie delle città. La prima stesura vede nascere contemporaneamente musica e un testo molto approssimativo. Le parole sono quelle che vengono sistemate alla fine, anche perché per dire una cosa ci sono migliaia di parole da poter usare, ma per l’atmosfera di un brano c’è una sola musica possibile.  Questa musica a volte nasce anche da improvvisazioni in studio, come nel caso di Black Dog, sul quale ho sistemato un testo già quasi perfetto nella prima stesura. Poi altri casi come Where Is My Town che è rimasta molto simile alla versione che avevo fatto a casa in acustico, perché l’atmosfera del pezzo richiede poche sovraincisioni.

Quali erano i vostri pensieri mentre componevate le canzoni? Alcuni di questi hanno influenzato sonorità e liriche?

Personalmente non lascio mai che i pensieri influenzino la narrazione, perché cerco di pensare con la testa del protagonista. Questo è un album dove si è cercato di pensare con la testa dei protagonisti delle canzoni. In passato certo altri album come Juvenile Street erano molto più personali e fatti in un periodo particolare, di disillusione e di consapevolezza di un’età che non sarebbe più tornata. Dal punto di vista delle sonorità abbiamo invece qui cercato di esprimere quella che era la narrazione e la storia del protagonista, con i pensieri e lo stato d’animo di questi personaggi.

Che artisti stavate ascoltando mentre scrivevate Babylon Club?

Personalmente, ascolto molto poco della musica e dei gruppi simili ai nostri, se non stravecchi. Gli altri membri della band di sicuro ascoltano più la nuova scena post-punk, come Idles, Fontaines D.C., Editors, Franz Ferdinand. Io resto molto legato alle uscite tra il ’70 e il ’90. Però devo dire che mi piace molto Lucio Corsi tra le cose nuove che mi è capitato di sentire durante questi ultimi anni.

Come si è svolto invece il processo di registrazione e produzione del disco? È cambiato qualcosa nei brani rispetto al momento in cui sono stati scritti?

In studio non cambia molto rispetto a come li suoniamo in saletta prima di registrare, cerchiamo sempre di rimanere fedeli a un contesto live. La produzione è nostra e soprattutto il nostro scopo è quello di suonare fuori dal vivo, anche se sempre più difficile, e quindi vogliamo che quando la gente viene a sentirci riconosca quello che ha sentito nell’album. Certo, c’è la parte di tastiere che non sempre riusciamo a riprodurre fedelmente dal vivo, dato che il nostro bassista Carlo le suona in studio, e dal vivo non tutte le parti sono suonabili contemporaneamente. In ogni caso cerchiamo sempre di limitare le sovraincisioni allo stretto necessario e iniziamo a registrare solo quando i brani vengono eseguiti in modo perfetto dal vivo in saletta, infatti molti li avevamo già testati live prima del disco.

Qual è la vostra parte preferita e quella che vi piace di meno dell’intero processo di nascita di un disco, dall’ideazione alla sua incisione?

Personalmente per me la parte migliore è quando i pezzi che sono solo mugugni o poche parole incise in 30 secondi diventano canzoni vere e proprie in sala. La parte peggiore è il missaggio e la parte tecnica che proprio non mi interessa minimamente, soprattutto il click in registrazione. Lo odio, è da mal di testa. Siamo una band da live fondamentalmente e credo che quella sia la nostra migliore espressione.

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