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Quando ho incontrato TGP: Buzzy Lao

“In questo disco affronto spesso il tema di come noi percepiamo il mondo esterno e di come riusciamo a influenzarlo con il nostro mondo interiore”.

Intervista a cura di Angela Ieriti

Buzzy Lao è un cantautore e chitarrista torinese di nascita e londinese di formazione. 

Il suo ultimo album, Universo/Riflesso (INRI/Bunya Records), nasce dalle riflessioni portate da un’esperienza di vita lontana dal web e  in una città completamente diversa da quella d’origine, quale è Palermo. Una esperienza di vita che ha influito nella scrittura di Buzzy Lao e che l’ha portato a una decisa deviazione rispetto alla sua produzione discografica precedente.

 

 

Di questo e di altro abbiamo parlato nell’intervista che riportiamo qui sotto.

Ciao Alberto. Per cominciare raccontaci come è iniziato il progetto Buzzy Lao e come mai hai scelto questo nome.

È nato tutto alla fine di un lungo percorso in una band, progetto che era nato al liceo e che ha permesso a me e ad altri 3 amici di girare per tanti anni facendo svariati concerti e anche in giro per l’Europa. Il genere era un mix di crossover e nu metal, ci siamo divertiti davvero molto. Una volta deciso di scioglierci per prendere ognuno la propria strada sono tornato sulle ‘mie corde’ andando a riprendere la mia passione per il blues e per il cantautorato. Da li sono partito prendendo anche influenze da molti altri generi di matrice black come il Reggae e il Soul per poi unirli con la scrittura in italiano, stiamo parlando del periodo tra il 2012 e il 2015. Mentre il nome Buzzy Lao era un nickname che usavo in un forum su internet dove si postavano poesie e riflessioni in generale, una sorta di ritrovo digitale per chi aveva la passione della scrittura. Deriva dal mio soprannome dell’adolescenza, Albuzzo, invertendo l’ordine di alcune lettere e aggiungendo una Y viene fuori questo nome che fin da subito ho sentito mio.

 

Per molti artisti l’infanzia e l’adolescenza sono importanti per la scelta della musica come lavoro. Per te è stato così? Qual è stato il momento in cui hai capito che avresti voluto fare questo nella vita?

Io ho avuto la fortuna di cominciare a suonare fin da molto piccolo, in casa mia c’era sempre una chitarra in giro, mio padre da giovane suonava e tutt’ora è il suo passatempo preferito. Quindi sono arrivato nell’adolescenza con già le idee abbastanza chiare, ho sempre voluto fare il musicista, mi piace qualsiasi aspetto di questo mestiere, dal prepararsi per affrontare un viaggio per un concerto alla ricerca sonora legata a diverse chitarre o effetti. Non c’è davvero stato un momento in particolare, credo di voler fare questo in qualsiasi caso. Anche se fossi costretto, come mi è capitato spesso e come tutt’ora capita, a dover fare altri lavori mi sentirei comunque un musicista che in quel momento sta facendo altro, è una sensazione innata.

 

 

Il tuo nuovo lavoro è mix di sonorità particolari e originali. Raccontaci da cosa hai tratto ispirazione per quanto riguarda i testi e gli arrangiamenti.

I miei testi sono sempre ispirati da esperienze personali, o almeno provo a mantenere questa linea, come se lo dovessi a me stesso in primis. Ho accantonato molte canzoni che non riflettevano profondamente quello che provavo o che sentivo intimamente mio, per questo motivo trovo davvero inutile giudicare una canzone o un testo altrui. Se lo si fa a livello artistico potrei dire che una canzone per quanto sembri all’esterno incompleta o ‘migliorabile’ può non esserlo per l’autore per cui invece magari rappresenta un punto fermo nella sua ricerca personale. In questo disco per esempio affronto spesso il tema di come noi percepiamo il mondo esterno e di come riusciamo a influenzarlo con il nostro mondo interiore. La difficoltà di esprimersi, il senso di inadeguatezza e la difficoltà di interpretare i segnali esterni, sono tutte tematiche a cui negli ultimi 2/3 anni ho destinato molte energie e che inevitabilmente si riflettono nei miei testi. Gli arrangiamenti invece sono frutto degli ascolti molto diversi tra loro che ho sempre avuto, in particolare nell’ultimo periodo sono stato attratto da paesaggi sonori più freddi rispetto al passato, e quindi con una forte dose di effettistica insieme a una ricerca sonora chitarristica sempre più a ritroso che mi ha portato nel blues più primordiale e quindi africano, sia a livello melodico che a libello ritmico. In questo senso l’album è un vero mix di fuochi musicali opposti tra di loro.

 

 

Come è stato collaborare con Dargen D’Amico? Ci sono altre collaborazioni importanti che ti hanno segnato nella tua carriera da cantautore?

Con Dargen è stato molto naturale, la sua scrittura fluisce e io personalmente ho solo dato qualche input su quello che era la tematica della canzone (Haya), il resto l’ha buttato giù lui e al primo ascolto ne sono rimasto meravigliato, per le parole taglienti, ma non povere di speranza. Ad ora è decisamente l’esperienza di collaborazione che mi ha segnato di più. Un’altra importante collaborazione è stata quella con Alosi (Il pan del diavolo), con cui sempre in questo disco ho scritto a 4 mani il testo di Ombra. È stato molto interessante perché ognuno vede gli stessi concetti da angoli diversi, e riuscire a farli dialogare fra di loro è un lavoro che ti fa alzare il tuo livello in termini di chiarezza e onestà, non ci sei solo tu devi coinvolgere anche un’altra persona, diverso da scrivere in solitaria ma ugualmente entusiasmante.

 

Se dovessi scegliere tre canzoni che ti rappresentano (puoi scegliere, possono essere sia tue che di altri artisti) quali sceglieresti?

Quella che mi rappresenta di più e al momento delle mie è Sfere. Probabilmente perché che è stata l’ultima che ho scritto in ordine cronologico. Mentre non mie potrei dirti Re:Stacks di Bon Iver e Is this love di Bob Marley.

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