“Una delle cose che più mi rende fiero di Oplà è che ogni canzone è un po’ una cosa a sé!”
Intervista a cura di Davide Lucarelli
E’ uscito ieri, 19 giugno, Oplà, il primo album dei Moca, su tutti i digital store per La Clinica Dischi/Aguaplano Records.
Dopo il rinvio dell’uscita inizialmente prevista per il disco, dettato dall’emergenza coronavirus, i Moca hanno sfogato tutta la loro creatività dedicandosi alla scrittura di nuovi brani. Da qui l’idea di stravolgere i piani dell’album, allargandone gli orizzonti e dividendolo in due volumi, il primo dei quali uscito proprio nella giornata di ieri.
Abbiamo fatto due chiacchiere con la band per sapere qualcosa di più su di loro e su questa nuova uscita.
Ciao ragazzi! Innanzitutto, vorrei chiedervi qualcosa di voi. Sono passati quasi due anni dalla pubblicazione del vostro primo singolo Amira, anch’esso contenuto nel vostro nuovo album “Oplà”. Che cosa è cambiato in voi in questo lasso di tempo?
2 anni, ci sono sembrati un’eternità: la tracklist dell’album non è in ordine cronologico quindi non rende una chiara idea dei cambiamenti (anche di sound), ma è stato davvero un lungo percorso. Abbiamo avuto la fortuna di poter passare tanto tempo in studio con il nostro produttore, di fare le cose con clama, trovare la giusta strada, il giusto sound. Per arrivare a questi pezzi, ne abbiamo registrati altrettanti, che non vedranno mai la luce. Fa tutto parte del percorso di crescita. Poi, al di la dell’aspetto strettamente musicale, in questo lasso di tempo tantissime cose sono cambiate: abbiamo perso un componente, ad esempio; ma in 2 anni cambiano anche le idee, le prospettive e le aspettative. E tutto questo influenza la scrittura. Ad oggi, Oplà, è per noi un grande punto di partenza, un trampolino: vogliamo tuffarci!
Il vostro sound è molto definito e caratterizzato da un sapiente uso dei sintetizzatori. Era già una vostra idea costruire questo tipo di mood o lo stile si è evoluto col tempo?
Il progetto è nato con l’idea di un buon compromesso fra strumenti di sintesi ed acustici. Nel tempo, sicuramente, la sintesi ha preso il sopravvento. Ma d’altronde nel 2020 è facile caderci! Il mood è per noi una cosa un po’ particolare, nel senso che cerchiamo sempre di mantenere la nostra identità, ma allo stesso tempo di seguire le esigenze del brano che abbiamo per le mani. Da un certo punto di vista sembra difficile trovare, sotto questo aspetto, una coerenza fra un brano e l’altro, ma una delle cose che più mi rende fiero di Oplà è che ogni canzone è un po’ una cosa a sé!
So che la pandemia che ci ha colpiti in questi mesi ha fatto ritardare l’uscita del vostro album. Come è maturata in voi questa decisione?
L’emergenza sanitaria in corso ha letteralmente mandato in frantumi tutti i programmi per la primavera e l’estate. Le date già programmate del tour sono state annullate e ancora oggi si fa difficoltà a programmare in tal senso. Quindi, guidati dalle nostre etichette, abbiamo deciso all’unanimità di rimandare l’uscita per aspettare tempi migliori, in cui tornare in tour senza troppi compromessi. Nel corso della quarantena però abbiamo continuato a lavorare sodo, tanto da ritrovarci in mano (letteralmente) due dischi, o meglio 2 volumi di Oplà. Abbiamo deciso di pubblicare ora il primo (anche perchè era importante per noi riuscire a mettere un punto al percorso di singoli intrapreso in questi 2 anni di vita musicale) e di temporeggiare per l’uscita del secondo, che coinciderà con la possibilità di ricominciare a suonare in giro (spero il più presto possibile)!
Uno dei titoli che mi colpisce di più nel vostro album è “Soffritto di sertralina”. Vi va di raccontarmi come è nata questa canzone?
Soffritto di Sertralina nasce come un inno, forse anche provocatorio, contro gli stereotipi sull’uso degli psicofarmaci. Spesso antidepressivi o benzodiazepine vengono riconosciute come vere e proprie droghe. Razionalmente non si può dire che non lo siano, come non lo si potrebbe dire dell’aspirina, d’altro canto. Ora, il punto è che malgrado spesso si senta parlare di abuso, ci sono persone che davvero necessitano di un aiuto da un punto di vista farmacologico: non è una novità che la depressione sia una malattia vera e propria e che purtroppo sempre più persone ne vengano colpite. Volevamo esorcizzare l’uso terapeutico degli psicofarmaci a tal punto da farci un soffritto e qualche spaghetto. A seguito di numerose polemiche sul tema del brano, direi che abbiamo fatto centro!
Io vi ho visti dal vivo a Milano in occasione di un Culture Club al Rock n Roll e posso dire senza timore di smentite che la dimensione dal vivo vi appartiene fortemente. Quanto vi manca potervi esibire e avete qualcosa in programma da questo punto di vista quando la situazione tornerà un po’ più normale?
Ti ringrazio tanto per l’apprezzamento! Per noi la dimensione live è importante non solo da un punto di vista puramente professionale/promozionale: stare sul palco ci manca da morire, ci manca a tal punto che registriamo delle live session con le go pro e poi le mettiamo su IGtv; un po’ come quando ti manca il profumo della tua ragazza e annusi il cuscino!
Nonostante il periodo complicato, ogni giorno si apre qualche porta in più sul fronte “musica dal vivo”, quindi siamo tutti un po’ in fermento. Per ora niente di sicuro, purtroppo! Ma siamo sicuri che presto potremo tornare ad abbracciarci, ci faremo trovare pronti!
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