“Nella mia vita vita non vorrò mai perdere il forte legame che ho con la musica.”
Intervista a cura di Davide Lucarelli
Pit Coccato è un giovane cantautore novarese, cresciuto musicalmente in Irlanda.
Il country folk della sua musica racconta di sentimenti e desideri, la sua voce e la sua chitarra portano l’ascoltatore in un affascinante mondo d’oltre manica, fatto di pub e canti popolari. Il suo ultimo album si intitola What I Need (Black Candy/La Fabbrica) ed è disponibile su tutte le piattaforme digitali.
Gli abbiamo fatto qualche domanda per conoscere meglio la sua storia e la sua musica.
Ciao Pit! Per cominciare vorrei chiederti come ti sei avvicinato alla musica e, in particolare, poi, al mondo del country-folk.
Ho iniziato a suonare da piccolissimo. Facevo le medie e mi hanno regalato una chitarra classica recuperata da chissà quale cantina. Ho imparato a suonarla da solo, poi mi sono messo a suonare la batteria, i primi complessi pop punk del liceo, poi il basso, poi ho iniziato a cantare.
Contestualmente alle mie avventure, ho sempre ascoltato musica della scena internazionale di ogni genere alternative rock / grunge / punk / elettronica / jazz blues cercando di ampliare sempre di più i miei orizzonti musicali.
Ho vissuto un bel periodo della mia vita in Irlanda, dove ho avuto modo di suonare con tante band in tanti locali e iniziare a cantare chitarra e voce nei pub dai più prestigosi ai più, passami il termine, marci.
La scelta di cantare i tuoi testi in inglese è dettata dal genere che fai o c’è una motivazione diversa? Hai mai pensato di fare qualcosa in italiano?
Canto in inglese per un motivo semplice: riesco a esprimere meglio le mie emozioni; oltre a questo ho la fortuna di saper bene la lingua grazie al mio periodo in Irlanda.
Il tuo ultimo album si intitola “What I Need” (“ciò di cui ho bisogno”). A cosa non vorresti mai rinunciare nella tua vita? Che cosa invece vorresti possedere che ancora non hai?
Nella mia vita vita non vorrò mai perdere il forte legame che ho con la musica. Non so come / dove sarò tra 20 anni, se farò ancora il cantante o avrò rinunciato (perché è una carriera dura da scegliere) sicuramente non avrò perso la voglia di ascoltare, promuovere e parlare di musica.
In generale non sento che mi manchi nulla (per fortuna) sto facendo musica nel modo in cui voglio io, senza compromessi, sostenuto da due realtà molto forti nel campo indipendente italiano (La Fabbrica e Blackcandy) che credono nel mio progetto, nonostante sia al mio primo album e abbia solo 23 anni. Non posso assolutamente lamentarmi.
C’è un brano in “What I Need” a cui sei particolarmente legato e/o un brano che ha una storia particolare dietro che ci vuoi raccontare?
Una canzone a cui sono senz’altro legato è la canzone che ha dato il titolo all’album: What I Need (traccia n.8).
Il giro di accordi cromatico mi gira in testa da più di 6 anni. La prima stesura di What I Need è di circa 3 anni fa. Il fatto che questa canzone abbia fermentato così tanto nel mio animo prima di venire pubblicata fa si che sia il lavoro più completo che ho scritto, a livello di emozione e di sentimento.
Un’altra cosa che mi riempie il cuore di gioia è il fatto che su questo brano abbia voluto collaborare Carmelo Pipitone (Marta sui Tubi); un musicista spaventosamente bravo. Dico spaventosamente perché la prima volta che ci siamo seduti in studio per registrare ci sono rimasto da quanto sia preciso e bravo a suonare. E’una persona d’oro, un collega che stimo, sono contento abbia collaborato anche lui.
Come ti ho già detto in passato, personalmente, apprezzo particolarmente la musica folk in versione live. A questo proposito ti chiedo: c’è un’occasione in cui hai suonato dal vivo che ricordi con particolare emozione e perché?
Sono del tuo stesso parere: la musica se non è anche suonata live non ha senso, almeno per me. Non riuscirei a comporre canzoni senza poi poterle suonare dal vivo.
Uno dei live più belli che ho fatto è stato tanto tempo fa in Irlanda, non avevo neanche idea che potessi intraprendere una carriera più “seria” come cantautore.
Sono andato a trovare delle mie amiche su un’isola a largo della baia di Galway che si chiama Inis Mór un posto dove la lingua ufficiale è ancora il gaelico (parlano ovviamente anche inglese). La sera arrivo nell’unico pub che c’è sull’isola con una chirarrra, c’erano altri musicisti e ho iniziato in un angolo a suonare con loro. Siamo andati avanti dalle 11 di sera fino alle 5 del mattino a suonare assieme , a turno ,ad accompagnarci l’un l’altro, a una voce a più voci, tutto improvvisato e tutto con una qualità bellissima. Il pub in silenzio ad ascoltare e applaudire (e darci birre gratis ahah).
Personalmente non ho MAI visto un rispetto simile per la musica.
Se ci penso mi vengono ancora i brividi.
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