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Quando ho incontrato TGP: Silek

“Penso sia il mio miglior progetto, o almeno quello che sento maggiormente mio.”

Intervista a cura di Giorgia Groccia

Carnival è il nuovo progetto di Silek, al secolo Simone, talentuoso rapper made in Padova. Un album di otto brani decisamente a tinte dark e dai testi intimi con una radice hip hop contaminata da altre incursioni sonore, spaziando dall’elettronica al reggae, passando per il boom bap.

I brani contenuti in Carnival vengono costruiti con attenzione: sono intimi, taglienti, decisamente concreti.

Il rap del nuovo disco di Silek è multi-incastro, stratificato nei concetti, talvolta molto ermetico, altre volte esplicito e inequivocabile.

 

 

Noi di tgp abbiamo chiacchierato con Simone, eccone il risultato:

Raccontaci l’evoluzione del tuo ultimo lavoro discografico CARNIVAL.

Carnival è l’album che non doveva esserci.

A settembre ho fatto uscire UNDICI che ha avuto ottimi riscontri, e stavo suonando in giro, lasciando da parte la composizione, poi a fine novembre mi sono messo ascrivere per esigenza ed è nata CADEAU e da li a 3 mesi è nato Carnival.

Non ho ponderato, ragionato ne pensato a nulla, ho solo aperto il rubinetto ed è sceso tutto, complice un periodo personale intenso e di enorme cambiamento.

Quando sono partito avevo solo il titolo, con una vaga idea di concept che poi ha preso vita in maniera spontanea.

Penso sia il mio miglior progetto, o almeno quello che sento maggiormente “mio”.

 

Quanto c’è di Simone e quanto di Silek nei brani che fanno parte del tuo ultimo album? 

Per quanto io abbia sempre avuto una scrittura “onesta” e reale non immaginaria o artefatta,  in Carnival c’è molto più Simone che Silek, perchè i temi affrontati, sono miei sensazioni, miei stati d’animo e visioni, esperienze personali, intime, spesso difficili, denudanti che non ho voluto trattenere.

Del fuori Carnival parla molto poco, anche se come ogni specchio ci sono sempre dei rimandi a situazioni esterne.

“..pioggia d’autunno, crollano i ponti l’amore crolla un po tutto”.

Carnival nasce in un periodo di forte cambiamento personale, che non riguarda la musica ma la persona, quindi non poteva che essere così, da sempre vivo la musica e lo scrivere come un’esigenza e le cose che spingevano per uscire erano quelle e non potevo altro che lasciarle fluire libere.

Poi ci sono 2 brani “da battaglia”, ma quello fa parte del mio rap da sempre e live sarebbero stati vitali per tenere su lo show, ma comunque hanno del contenuto personale.

 

Raccontaci la scelta del sound invece, in che direzione ti sei mosso e perché?

Volevo fosse un ascolto omogeneo con meno salti rispetto ad altri progetti precedenti, cercavo strumentali con pochi suoni, ma dalle sensazioni nitide, stessi colori, stessi odori, ovviamente con sfumature diverse.

La musica è spesso buia, densa e i ritmi sono bassi, perché mi serviva dare elasticità al mio rap, cambiare flow.

Definirlo dentro un sotto-genere di genere è uno sforzo che non faccio, è Hip Hop, ma a modo mio, come è sempre stato.

 

 

Quale brano all’interno di Carnival risulta essere più personale ed intimo per te? 

Credo che “Finestre” sia stata la canzone che più rappresenta quel momento di passaggio di cui parlavo prima, parla di un me che era molto che non incontravo e che ho intravisto per un attimo, ma in cui ho creduto molto, credo sia anche la canzone più ottimista da sempre, una finestra appunto che vorrei riaprire e tenere spalancata.

“Finestre” è la speranza dell’album, così come altri brani invece descrivono la disillusione, spero di avere il materiale intimo per scrivere altri brani così.

 

Quali sono i tuoi retaggi musicali? 

Le influenze per me sono state davvero tante e diverse, a partire dagli ascolti in famiglia vari ed eventuali, passando per qualche anno di musica classica perché studiavo violino, passando poi al rock, metal, all’ elettronica e poi al rap in tutte le sue varie e diverse evoluzioni dagli anni 90 e prima.

Credo che Padova (la mia città)  di suo abbia cambiato molto il mio approccio all’hip hop, visto da sempre gli amici musicisti venivano da altri ambienti e per vicinanza hanno colorato e cambiato molto il mio approccio al rap, assolutamente e consapevolmente non tradizionale.

Ho lasciato fluire tutto dentro il mio moto espressivo, fiero e attaccato all’idea del rap e della sua cultura di provenienza ma aperto alla contaminazione di qualsiasi forma.

 

Cosa pensi della scena rap/trap sviluppatasi negli ultimi anni? 

Il rap è cambiato molto, per il discorso di cui sopra, i cambiamenti, le contaminazioni, le evoluzioni le amo, le cerco e le vedo sempre di buon grado, molte cose mi piacciono da altre invece mi trovo distante più che altro per contenuti, ma credo sia normale per età e per retaggio culturale.

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