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Quando ho incontrato TGP: The Lansbury

“Nel 2020 viviamo ancora in una società in cui determinate violenze vengono giustificate.”

Intervista a cura di Giorgia Groccia

Si può raccontare la violenza sulle donne anche essendo uomini, anche con sonorità “forti” e molto rock, anche con una canzone: Alba è il brano con cui The Lansbury, trio alternative di Torino, si presenta, forte anche di un videoclip di grande impatto. Una donna completamente inguainata in un costume bianco, come prigioniera di preconcetti e pregiudizi, si disegna addosso, in un video in bianco e nero che la band ha girato in autonomia, e in una canzone molto ruvida e potente.

 

 

Abbiamo chiacchierato con la band, eccone il risultato:

Il vostro singolo Alba, con annesso video decisamente d’impatto e non di poco conto, avete raccontato con eleganza e violenza, gli abusi sul corpo femminile. Ci raccontate com’è nata l’idea del brano?

Il brano nasce dall’esigenza di esporsi e denunciare un fenomeno che troppo spesso viene trattato con superficialità arrivando così ad essere concepito a livello comune come secondario, e ovviamente in questo caso parliamo di violenza sulle donne. Non solo sui loro corpi, ma anche sull’impatto che certi atteggiamenti culturali ritenuti “normali” hanno sulla società e quindi sulla psiche, sia delle donne che degli uomini.
Nel 2020 viviamo ancora in una società in cui determinate violenze vengono giustificate, perché ancorate a concezioni medievali dell’idea di coppia, di gusti sessuali, di parità di diritti. Quindi dopo che Davide ha avuto modo di ascoltare gli sfoghi di un’amica ha sentito la necessità di scriverci un brano, il primo da quando ha iniziato a comporre, cercando di riportare quell’incontro e quel racconto così come era avvenuto, senza voler dare un taglio interpretativo personale attraverso le parole, ma invitando a riflettere su un tema che viene sempre accantonato ed esce fuori dai piani alti solo durante la campagna elettorale. Per questo nel video abbiamo cercato attraverso le immagini di dare la nostra idea sulla violenza sulle donne. Speriamo di invitare ad una riflessione in modo che un’ennesima disuguaglianza sociale venga affrontata dalla collettività e non da chi ci vuole far credere di essere liberi mentre ci mette l’uno contro l’altro inchiodandoci a delle etichette.

 

Per quanto riguarda il videoclip, quale significato preciso gli attribuite? Da chi e com’è nata l’idea di girarlo in questi termini?

L’idea per il video l’abbiamo sviluppata un po’ come facciamo musica: insieme, contaminandoci a vicenda. Fondamentalmente abbiamo cercato un modo non didascalico, ma intelligibile di accompagnare Alba per immagini.

A noi piace descriverlo in questo modo: stretto e senza colori come certe prospettive, ma è comunque, alla fine, la storia di una rinascita. Il significato che sta dietro queste parole è un riferimento al lottare contro dei dettami sociali che ci schiacciano e rinchiudono in determinati ruoli in modo da liberarci da questi ultimi. E’ un invito quindi a non girarsi dall’altra parte, alimentando le ingiustizie, ma di schierarsi e riappropriarsi di pratiche come la solidarietà e l’unione tra persone per non lasciare indietro nessuna e nessuno. Per rendere in videoclip tutto questo siamo partiti dall’idea del “dipingere la tua identità”, come recita il testo e quindi abbiamo lavorato sul concetto della seconda pelle, del segno grafico sempre più nervoso, incisivo, tagliente come una lama, metafora della sofferenza attraversata fino alla rinascita finale. L’identità nuova, ritrovata, o più semplicemente ricostruita.

 

 

Quali evoluzioni ha subito la vostra musica nel tempo?

Abbiamo iniziato a comporre i brani seguendo la scia di un certo tipo di alternative rock che però, con gli anni, si è contaminato di influenze noise e post rock virando verso sonorità che ci sembrano accompagnare meglio le tematiche e le storie che raccontiamo nei brani. A livello compositivo non è cambiato molto rispetto all’inizio, forse siamo entrati semplicemente sempre più in sintonia su suoni e genere a furia di comporre insieme. Vediamo nella nostra musica la traduzione espressiva delle emozioni che proviamo affrontando determinati temi, raccontando e ascoltando esperienze di vita proprie o altrui. È indice che stiamo facendo un buon lavoro, o almeno lo speriamo!

 

Quali sono i vostri capisaldi musicali che vi hanno guidato ed ispirato nel sound e nella scrittura?

Bè Davide da tempo si è fissato coi delay da quando ascolta Mogway, Oceansize e affini. Non rinuncia poi agli urlati tipici dei Marlene di Catartica o dei primi Afterhours. Il basso di Andrea “Oscar” viaggia su delle sonorità che fanno riferimento a Sonic Youth, Dinosaur jr., Wussy… mentre a livello di scrittura si appoggia più su un certo tipo di alternativa, pop e blues rock come Doors, Bill Scorzari, Battisti, Umberto Maria Giardini…Luigi a livello di sound e di scrittura ritmica per la batteria si ispira a gruppi post rock come Massimo Volume, Slint e Bark Psychosis, ma anche a band noise come Sonic Youth o emocore, come gli American Football.

 

Qual è il palco su cui portereste assolutamente la vostra musica?

Non abbiamo un palco preferito, basta che non sia troppo alto così che si possa fare stage diving senza rischiare l’osso del collo e con un parterre affollato, bello affollato. Insomma, un palco che inviti molte persone senza spennarle così che l’arte possa tornare un po’ più alla portata di tutti.

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