Sign up with your email address to be the first to know about new products, VIP offers, blog features & more.
[mc4wp_form id="4890"]
Zapisz Zapisz

Kublai ha presentato dal vivo il suo “Sogno vero”

“Sogno vero” presentato all’ARCI Bellezza di Milano.

Di Davide Lucarelli

Ieri sera, alla Palestra Visconti dell’ARCI Bellezza di Milano, Kublai ha presentato dal vivo il suo nuovo EP, di prossima pubblicazione, Sogno vero.

Accompagnato dal vivo da Mamo alla batteria (coautore dell’EP) e Vito Gatto alla tastiera e alla console (produttore dell’EP), Kublai ha cantato e raccontato in ultraanteprima il disco che verrà pubblicato nel prossimo futuro.

Alla fine del concerto gli abbiamo fatto qualche domanda. Ecco qui sotto quello che ci siamo detti.

 

Prima domanda, forse la più banale, ma legata alla mia passione per la storia: come mai Kublai? Questo nome evoca il Kublai Khan, il grande condottiero mongolo.

Sì, mi rendo conto che questo nome evochi un certo esotismo, ma in realtà, ho scelto questo nome per il progetto perché Kublai era il titolo del primo album che è uscito un paio di anni fa. Il tema di questo album era quello della storia di due amici che avevano un rapporto simile a quello tra il Kublai Khan e Marco Polo. Questi due amici sono nati agli antipodi e sono molto diversi tra loro, ma legano molto. Uno, il Kublai Khan era un figlio d’arte, nipote di Gengis Khan e cresciuto un po’ col complesso di dover essere al livello del nonno e dominava un impero sterminato, che non riesce a conoscere completamente neanche lui, l’altro, invece, Marco Polo, è un viaggiatore e dunque conosce il suo impero meglio di lui e glielo racconta. Tutto l’album Kublai era un dialogo tra due amici che aveva un po’ la stessa dinamica.

Poi ho deciso di dare questo nome a tutto il progetto perché, alla fine, mi piaceva molto.

 

 

Questa sera abbiamo sentito dal vivo i brani di un EP che uscirà, ma non si sa ancora bene quando. Si chiama “Sogno vero”. Esistono anche “sogni falsi”?

Il sogno per definizione è astratto. E’ falso in questo senso. L’ambiguità, però è proprio questa, in fondo tutto è realtà. Anche la nostra immaginazione è una cosa che esiste, che è reale. E’ solo che non è condivisa, non è oggettiva per tutti. Il titolo Sogno vero è, appunto, un po’ paradossale. Un sogno, per definizione è astratto, finto, ma la musica lo rende vero. Questo allude a due cose in realtà. La prima è il fatto di aver avuto delle esperienze assieme a Mamo, il batterista di stasera, che ha scritto l’album con me, delle esperienze, al limite del reale, cose da film insomma. La seconda è che è utile mettere in mostra il paradosso. La nostra vita è assurda e non così diversa da un sogno. Volevo rendere esplicita questa cosa e metterla in musica.

 

Dunque il progetto Kublai è partito da questo concept album, in cui si raccontava la storia di due amici, e ora è arrivato a un EP che parla di sogno. Vedi il percorso di questo progetto più come una storia che continua o come un’evoluzione?

C’è una linea che tiene insieme questi due dischi: il mio modo di vedere la musica. Per me la musica non deve essere semplicemente “parlare delle cose“, non deve utilizzare solamente le parole per comunicare, descrivere, commentare, come è nella tradizione della musica italiana e del cantautorato. Secondo me, in questo momento, la musica deve essere qualcosa di diverso, la musica deve evocare qualcosa e non semplicemente limitarsi a parlarne.

 

Ultima domanda, quella tipica di Tutti Giù Parterre: ci racconti il tuo rapporto con il live?

Il mio rapporto con il live, purtroppo risale a due anni fa (ride, n.d.r). In realtà non è del tutto vero, perché io faccio il musicista di lavoro e dunque suono anche in contesti diversi da quelli in cui porto il mio progetto. Però c’è una grande differenza tra fare una serata su commissione in cui si suona o canta qualcosa di non proprio e quando si porta dal vivo la propria musica davanti agli altri. In questo secondo caso, sei sottoposto al giudizio diretto dell’ascoltatore. Non è da tutti prendersi questo rischio. Il live è un po’ il prendersi il rischio di provare a comunicare con gli altri con un modo alternativo alla parola. Io, in generale, al momento, non faccio molti live perché preferisco concentrare tante emozioni in un live che disperderle in 70.

No Comments Yet.

What do you think?

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *