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KuTso in Che effetto fa: poetica irriverente al passo coi tempi

di Giorgia Groccia.

Il 2018 è stato l’anno del terzo album dei kuTso, “Che Effetto Fa”, un lavoro discografico notevole che prevede un sound e una lineup completamente rinnovati oltre a un tour attivo già dall’estate passata. La scena necessita notevolmente di artisti e band come i kuTso, i quali, sin dagli albori, portano avanti un’idea ben precisa e definita, non piegandosi alle leggi di mercato che purtroppo e troppo spesso hanno invaso la discografia indipendente, specialmente nell’ultimo periodo.

I kuTso, pionieri del genere, nel 2013 pubblicano il loro primo album ufficiale “Decadendo (su un materasso sporco)” prodotto da 22R, Cose Comuni e Metatron, presentato live al Circolo Degli Artisti di Roma. Il primo singolo estratto, “Lo sanno tutti“, è accompagnato da un video irriverente girato con la crew di comici “The Pills”; a febbraio 2015 escono con il loro secondo album “Musica per persone sensibili” (IT.POP/Universal Music) prodotto dai KUTSO e da Alex Britti. I singoli estratti dall’album sono “Elisa” (brano vincitore del premio “RTL 102.5” e primo classificato nella categoria “Indie Music Like” del MEI 2015), “Io rosico” e “Spray Nasale”. Il primo maggio 2015 partecipano al grande concerto in piazza San Giovanni e a Bologna in piazza Maggiore al concerto organizzato da Eugenio Finardi. Durante l’estate dello stesso anno la band si esibisce in oltre 60 città tra festival e rassegne. Nel gennaio 2016 divengono protagonisti di un video virale che li riprende durante un’accesa diatriba con il ministro Maurizio Gasparri nel salotto della trasmissione “Revolution” in onda su TV2000 e proseguita poi a colpi di tweet. Nell’estate 2017 i kuTso sono tornati nuovamente in tour in tutta la Penisola, dopo l’impegno televisivo di Bring The Noise, quiz televisivo in prima serata su Italia Uno che li ha visti impegnati in qualità di resident band. Anche il passato più lontano è costellato da grandi eventi: nel 2014 dopo un tour di oltre 120 DATE, i kuTso partecipano al Concerto del Primo Maggio a Roma, durante il quale si esibiscono davanti a 700.000 persone e le aperture a CAPAREZZA: a Miami (USA) in occasione dell’Hitweek Festival e al Postepay ROCK IN ROMA 2014, due grandi occasioni che trovano l’appoggio di un pubblico particolarmente partecipe e divertito. Altro evento memorabile è la partecipazione all’Hard Rock Live Roma in Piazza del Popolo insieme ai Negramaro.

Bisognerebbe spendere innanzitutto del tempo per comprendere la poetica dissacrante della band.

I brani dell’album “Che effetto fa” non sono scatoloni vuoti, piuttosto involucri tessuti abilmente attorno a contenuti delineati dalla mente arguta di Matteo Gabbianelli & Co. Questi contenuti circumnavigano con ironia tematiche crude, a volte politicamente irriverenti, ma mai fuori luogo e soprattutto mai fuori tempo. Difatti il tutto aderisce perfettamente agli avvenimenti che corrono tra cronaca e soggettività ragionata, la quale sfocia inevitabilmente in una critica sociale assestata in pancia come un dolce pugno nelle viscere: non fa male, permette al pensiero di correre lungo fili ad alta tensione, i quali, come neurotrasmettitori, spesso vengono inibiti da alcuni generi musicali, e in questo senso invece vengono -fortunatamente- sovraeccitati.

Il brano “Che effetto fa”, che conferisce il titolo all’intero progetto, è un pezzo catartico che pone al centro domande esistenzialiste ma concrete, tangibili. Prima o poi l’essere umano, per natura, necessita un esame di coscienza in base alle decisioni prese, quei bivi in cui scegli se correre in moto, ad alta velocità, senza casco o se scegli il sedile comodo dell’utilitaria con il maglioncino sulle ginocchia. Le decisioni vertono in base alle lusinghe di una vita comoda, la scelta di un amore convenzionale, una sistemazione senza più sorprese. Allora i kuTso si interrogano ed interrogano chi ascolta: che fine ha fatto la rivoluzione? Che effetto fa una vita che non serba più sorprese? Non è solo una domanda, ma una constatazione. È la riprova di un’esistenza passata in burrasca a cercare una quiete che fa schifo, che non serve.

In Manzoni alieni vi è un richiamo al bisogno e desiderio di “rompere le fila”, l’irriverenza è la voce grossa che accompagna tutto il brano dalla prima all’ultima strofa; Le rose morte cita “distruggerò i vostri circoli esclusivi, e sputerò nei vostri aperitivi”, frase che, sviscerata, urla forte e chiaro alla ribellione post moderna contro la borghesia imbellettata 2.0, non quella di una volta, ma la nostra, quella di cui tutti fanno parte; quel LORO è un NOI, e questo noi andrebbe demolito per costruirci su qualcosa di meno fittizio, palazzi meno per bene con degli interni più convincenti magari. Strade interrotte strizza l’occhio alle classiche ballad romantiche, ma in pieno stile kuTso, paragonando una storia finita ad un viale interrotto in cui si continua a vivere una quotidianità all’insegna della normale amministrazione, tra l’ansia e frenesia, per poi concedersi la notte, la pioggia, la ricerca. Disoccupato pone un quesito essenziale: il lavoro o la salute mentale? Lo stacanovismo estremo posto in contrapposizione alle passioni, decisamente più appaganti, a parità di mancata retribuzione reale. Inoltre è un pezzo che tocca con ironia sprezzante il disagio della disoccupazione post laurea, e il continuo svalutare perpetuo dei titoli di studio e specialmente dell’istruzione, della cultura. Il segreto di Giulio chiacchiera i drammi del musicista underground; il segreto del successo è piacere alle donne, dice ironicamente Gabbianelli, e forse è vero, in un periodo storico che pesa sulla bilancia l’aspetto fisico e l’immagine prima ancora di valutare la musica. Uno + una ritorna sul personale accarezzando sempre margini universali, un amore ai tempi moderni, la dissacrante promiscuità raccontata con leggerezza, mai con superficialità. Niente cuoricini è cantata all’insegna del “e che me frega a me”: un canto libero, forse liberatorio; via le sovrastrutture, sì alla sostanza essenziale: se stessi. Nessuno ti minaccia e Giovani speranze chiudono il cerchio, conferendo all’album l’ultima spinta finale esattamente nella direzione giusta, quella intrapresa da una band che si rinnova costantemente mantenendo la propria identità integra, riconoscibile. Eccentrici ed eclettici, i kuTso hanno deciso di mescolare gli anni sessanta, servendosi delle sonorità che richiamano ai mostri sacri Beatles, unendo le batterie anni 70, i synth anni 80 in linea con il panorama circostante in questo preciso momento storico, e ovviamente non tralasciando la rabbia anni 90 tipica del grunge. In questa “vita impolverata”, alienata, ricca, ma ricca di frivolezze, e povera di contenuti, Gabbianelli & Co cercano una risposta, uno spiraglio di umanità, una richiesta disperata omettendo la disperazione, lasciando posto all’umorismo intelligente, quello che ti resta impresso perché incide un sorriso, ma anche un pensiero che aleggia, si rintana in noi, feconda pensieri nuovi, la rivoluzione di cui avevamo bisogno.

 

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