di Giorgia Groccia.
foto di Daria Falconi.
Il 29 novembre 2018 Largo Venue (Roma) ha ospitato il folle live di uno degli artisti più particolari del panorama odierno, Leo Pari, con il suo ultimo lavoro discografico, Hotel Califano. Difatti, a partire dal titolo, possiamo ben individuare istantaneamente uno dei punti di forza maggiori dell’artista, ovvero il continuo giocare con le parole mescolando concezioni di una profondità da indagare ad una superficie che funge da carta moschicida. In apertura troviamo il duo URBANIA, e il romano Simone Ranalli, in arte STRADE, il quale propone una formazione composta da Gabriele Safari in consolle, Edoardo Croce alla batteria e Alessio Basile alla chitarra. Un mini live composto da brani celebri del giovane cantautore che sposa abilmente sonorità che strizzano l’occhio al synthpop anni ’80, ma che al tempo stesso suonano forte e rintracciano una personalità prorompente data da una voce riconoscibile, calda, e dei testi tutti da scoprire.
Leo Pari, con la sua carica energica e il suo cavallo di battaglia, ormai iconico ballo denominato “toppeiro”, parte inserendo la quinta e non risparmiando neanche un briciolo di sé: ama il palco e i fan totalmente, istantaneamente. In consolle ritroviamo I TRISTI che riempiono di suoni e percezioni lo stabile infuocato sin da subito, sulle prime note di Hotel Califano. Il titolo è una chiara citazione storica che richiama in memoria il celebre pezzo Hotel California degli Eagles, e così via si scende sempre più in profondità con MONTEPULCIANO e VENERDI’, brano che svela uno dei caratteri maggiormente visibili che delineano il foto-ritratto del cantautore. “Stiamo sempre ad aspettare qualcuno ma aspettare chi?” Infatti, chi? E tra la vodka e i non luoghi in cui siamo soliti abitare, risuona forte il primo campanello d’allarme che ci sussurra la disillusione in cui Leo Pari si immerge tramite i suoi testi. Si prosegue con GIOVANI PLAYBOY e CHIMICA, nell’album feat con LEMANDORLE.
Successivamente UNA CANZONE PER, che si barcamena sul labile filo della speranza, e forse dei rimpianti, un ricordo fumoso, e poi il ricorrente bisogno di dover bere, bisogno o forse dato di fatto. Si passa repentinamente a brani come BACIA BRUCIA AMA USA, contenuta nel precedente album, SPAZIO, dal retrogusto agrodolce, spigoloso quanto ciò che viene celato al di la di un personaggio eccentrico come Leo Pari. Eccentrico ritratto su un fermo immagine che inquadra i contorni e li definisce e seconda del brano, il quale inoltre, collega il tutto tramite una corda attorcigliata in ogni angolo di testo; di qui si snoda l’animo noir del cantautore che, tra i suoi mille colori frash, i balli/tormentone e i tormentoni da ballare, nasconde la vena da poeta maledetto, quasi come fosse un moderno Bukowski, impiegando una lingua bagnata da tabacco e trasgressione che batte proprio lì dove duole qualcosa, quel qualcosa che automaticamente si anestetizza ma che resta a galla: sta a noi cercare di cogliere tra le mani quel che si legge tra le righe.
Si prosegue con AROMA, NON TI SCORDAR DI ME, FRASHDANCE e I PICCOLI SEGRETI DEGLI UOMINI. Giunge a destinazione sul finale uno dei pezzi più geniali di Leo Pari, ovvero DIRTY TI AMO, totalmente in linea con l’astuzia nel trovare un titolo che rompa gli schemi, cantato al tempo stesso come fosse una vera dichiarazione d’amore. Il gran finale prevede MINE e TWINGO.
Il pubblico si rende parte attiva dello show, balla, canta, inquadra attraverso i display degli smartphone ogni movimento di Leo Pari che, ad un certo punto, decide addirittura di esibirsi tra il pubblico stesso ovviamente in visibilio. La scena diviene sopraffatta dall’amore tossico cantato dall’artista, il quale prevede quella stessa tossica disillusione di cui siamo pregni, quella scrittura sporcata dalla vita che arriva dritta come fosse un treno proprio perché sincera e ritoccata solo in parte, solo nella messa in pratica, ma che, se spogliata del tutto, resta, vale tanto, fa male un po’ e a noi piace così.
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