Lo scorso fine settimana sono tornato al Largo Venue, locale tutto nuovo a Roma con una bella sala, un gran bel palco, un gran bel giardino, già diversi bei concerti ospitati e tante, tante potenzialità ancora da esprimere, a pochissima distanza dal Pigneto.
Ci sono tornato, dopo l’esplosiva serata dei Voina, per quella che era la Spaghetti Night, evento creato dall’entourage di Spaghetti Unplugged, organizzazione che già da un po’ promuove la musica emergente nei migliori locali di Roma e si è imposta alla nostra attenzione, ma anche a quella delle migliaia di frequentatori della scena musicale romana, come una sorta di certificato di garanzia.
Nemmeno lo scorso weekend la Spaghetti Night ha deluso le attese, anche perché la sola proposta musicale della serata era di quelle che meritava, con il piatto forte de La Municipal, accompagnato dagli opening di Andrea Nabel e La Scala Shepard.
Quando entro nella sala del Venue, Andrea Nabel è appena salito sul palco e con la sua chitarra, canta una nuova tappa del suo lunghissimo Punto e basta Tour, che lo aveva portato ad esibirsi solo a Roma già altre due volte tra le innumerevoli date (da aprile ad ora una trentina). Andrea Nardelli all’anagrafe, cantautore pugliese di Castellana Grotte (Bari), dopo il primo singolo “Sono qui” pubblicato nel 2015, un’infinità di date live, la pubblicazione del primo video a 360° in Italia ed il premio PIVI al MEI, a marzo scorso ha consegnato al pubblico il suo primo album “Punto e basta”, disco che punta il focus sul passaggio dall’infanzia all’età adulta ponendosi un interrogativo: nelle nostre scelte abbiamo mantenuto la promessa fatta al bambino che eravamo?
Dopo di lui è il turno di La Scala Shepard, che ho già visto live un paio di volte almeno, anche se non ricordo bene dove (ogni volta bevo troppo accidenti…) se non nell’occasione di Genzano di Roma, probabilmente in apertura a Giancane in quel posto fantastico che è il Rockness, svariati mesi fa. Scrivo così in modo da non dover ricordare la data esatta, sarebbe davvero chiedere troppo, ma parliamo comunque di inizio 2017 *.
Loro sono romani, si sono formati nel 2015 e dello stesso anno è il primo album in studio completamente autoprodotto, “Di Passaggio“. Immediatamente dopo hanno intrapreso un tour “on the road” interamente autogestito, che li ha portati in tutta Italia sia nelle piazze come artisti di strada, sia su palchi di locali e festival, raccogliendo un caloroso consenso di pubblico. Poi nel novembre 2016 pubblicano il secondo album “Eureka”, registrato presso Snakes Studio di Giancarlo Barbati (Giancane) e prodotto dal crowfunding attraverso Music Raiser. Il loro pop-folk è sempre incalzante e tirato, divertente in ogni momento, anche perché loro sul palco ridono e si divertono davvero risultando molto simpatici oltre che bravissimi. Da rivedere più e più volte e con pubblico crescente. Nel frattempo ho acquistato entrambi i CD.
* Cavolo adesso ricordo, non la data esatta ci mancherebbe, ma c’era la finale di Sanremo e Giancane fermò il live per seguire la dichiarazione dei primi tre posti in classifica sulla maxi proiezione trasmessa dal loale (fin lì senza audio…), ricordo che aveva scommesso su Ermal Meta. Vinse Gabbani con la scimmia. Doveva essere febbraio quindi…
Arriva quindi il turno de La Municipal ed anche per chi non li conoscesse, è facile intuire che appunto il piatto forte della serata siano loro, perché oltre a suonare per ultimi, lo fanno di fronte ad un pubblico improvvisamente moltiplicatosi.
Carmine ed Isabella Tundo, fratello e sorella come ormai in molti sapranno, voce e chitarra lui, voce e tastiere lei, sono affiancati dalla band composta da un basso, un’altra chitarra e la batteria. Cantano praticamente tutto il loro primo LP “Le nostre Guerre Perdute”, che tra l’altro è stato prodotto artisticamente dallo stesso Carmine, uscito ormai più di un anno fa ma apprezzatissimo dai fan ora come all’ora e forse anche un pochino di più, dato che c’è stato il tempo di comprenderlo a pieno e digerirlo. Perché “Le nostre Guerre Perdute” può essere un album ingannevole: “al primo ascolto veloce i nostri possono sembrare dei pezzi piacevoli e qualche volta allegri, prendendo “quasi per il culo” chi ascolta distrattamente le nostre canzoni” si legge in un’intervista di Carmine Tundo a CoolClub.it (qui l’intervista completa). Invece una volta entratici dentro, ci si immerge in un mondo di problematiche esistenziali proprie ormai di moltissimi giovani ed anche di chi, come me, giovanissimo non lo è più*, ma che vive una condizione di precarietà che risiede nella testa prima ancora che nella collocazione sociale.
Suonano tutto il disco e se la memoria non mi inganna (sempre il problemino con le bevande, vedi sopra), anche un paio di belle cover. E suonano bene, davvero bene, aiutati anche da un impianto che non si fa disprezzare, il che non è affatto scontato visto ciò che capita di sentire (o subire) in giro per locali.
Qualcuno li assimila ai Baustelle, impressione che mi sono fatto confermare da più presenti anche non collegati tra loro. Forse si, ci sta, ma è un qualcosa che non si sente nel disco, emerso esclusivamente in questo live e vai a capire perché: forse gli arrangiamenti uniti alle tematiche trattate, un po’ da Sussidiario illustrato della giovinezza (l’album di debutto dei Baustelle, pubblicato nel 2000 dall’etichetta indipendente Baracca&Burattini), e volendo spingersi un po’ in là, dal bel timbro femminile di Isabella Tundo che tra l’altro, come Rachele Bastreghi, canta e suona la tastiera (ed allo stesso modo è anche bella e tiene ottimamente il palco). Ed in ogni caso essere accomunati ai Baustelle va più che bene direi, e su questo non si accettano pareri discordanti: all’interno dei confini di questo articolo non vige alcuna democrazia. Fuori, nei commenti, ovviamente si, ma siate onesti e convenite con me.
Come non mi piace sentire pareri negativi su La Municipal, che in pochi ascolti ed un concerto, mi ha convinto della sua appartenenza alle cose belle di questo mondo. Mondo musicale, mondo “indie”, mondo alternativo italiano, mondo giovanile… fate voi: i sentimenti di appartenenza sono variabili e soggettivi. Le cose belle sono belle e basta.
* non ho ancora bisogno dell’accompagno sia chiaro, ma qui ci si riferisce ad una generazione di poco più che ventenni.
a cura di Riccardo Magni
foto Luca Brunetti
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