di Giorgia Groccia.
Maiole, all’anagrafe Marco Maiole, classe ’95, è un producer, beatmaker e cantautore di origini campane che, nonostante la giovane età, ha già diversi progetti interessanti e degni di nota alle spalle.
Esordisce all’inizio con gli EP Pollen (2014), How to Feel Warm (2015) e nel 2016 pubblica Last For Motifs per HMCF. Cose Pese è il suo nuovo album in uscita il 26 ottobre per Malinka Sound/peermusic ITALY, un album che segna senza ombra di dubbio un passaggio importante e una crescita artistica non indifferente rispetto al precedente lavoro discografico, Music For Europe, uscito nel 2017.
Il disco, composto nel corso di quasi due anni tra Santa Maria Capua Vetere, Bologna, Milano e Bruxelles, è stato un vero e proprio viaggio alla (ri)scoperta del proprio sound autentico: quel vero io che necessitava un andirivieni, un flusso continuo che oggi ha ricevuto in dono una voce grazie alla realizzazione dell’album.
Dopo aver remixato Accattone di Frah Quintale, nel 2018 Maiole ha pubblicato Tinder, Crescendo e Cose Pese, prime anticipazioni del suo secondo disco, che l’ha letteralmente tramutato da producer e beatmaker in artista pop a tutti gli effetti.
Il cantautore approccia la musica aggredendola dolcemente, sfidandola, costruendo una base di ricerca approfondita di suoni mai banali e che spaziano svariate volte, costruendo architetture elettroniche sognanti e astratte in contrapposizione ad un animo pop vivace. I testi modellano una quotidianità personalissima e, al tempo stesso, vengono tratteggiate da ironiche prese di posizione condivisibili.
L’intento dell’artista verte sul raccontare un aspetto intimo della propria personalità, nel quale il processo subìto risulta naturale, emotivo al punto giusto. Maiole ci presta i suoi occhi per osservare i dettagli tramite un paio di occhiali da vista o una lente d’ingrandimento con il vetrino colorato, ricco di sfumature tutte da scoprire attentamente.
Questo percorso musicale e vocale incominciato tempo addietro è il necessario prosieguo del precedente lavoro, con l’aggiunta di una maggiore consapevolezza e onestà.
In brani come SICURO DI ME si evince un perpetuo interrogarsi sul mondo circostante, un universo che corre lento, che delle volte suscita perplessità e sensazioni destabilizzanti. Si intraprendono vicoli malinconici con MASAMASA, per poi passare all’amore 2.0 descritto in TINDER. Non mancano nomi di ragazze come OLIVIA, e le descrizioni di un attimo, di serate trascorse in compagnia del BLURAY, un manifesto sociopatico che viene apprezzato proprio per la sprezzante onestà e le sonorità in linea con tutte le parole pronunciate. In PIPPARE vi è il rifiuto per alcune pratiche oramai quasi socialmente accettate, in cui l’artista non riesce a rispecchiarsi, rifiutandone completamente ogni sfaccettatura. Maiole riversa nelle proprie canzoni una traballante stabilità emotiva tipica di un’età in cui è tutto in bilico tra un forse e un quasi, un’età da costruire, nonostante ci si senta già adulti.
Musicalmente parlando l’artista si barcamena abilmente tra ritmi disco-funk catchy e amabile pop, cucendosi indosso un sound personalissimo e concentrato su diversi piani e differenti chiaroscuri che producono un piacevole dinamismo per chiunque ascolti.
Abbiamo chiacchierato con Maiole in occasione dell’uscita dell’album:
Cosa è cambiato da Maiole di quattro anni fa ad oggi?
Mi sento molto più artista e molto meno produttore, prima passavo ore in studio a lavorare mentre ora do importanza solo al momento improvviso di creatività a cui do poi voce in poco tempo. Penso di avere anche un suono più spontaneo ed eclettico grazie a questo cambiamento; detto questo, non potrei mai farmi produrre un brano da un’altra persona.
Il tuo album racchiude delle tracce che trattano argomentazioni decisamente molto attuali, ma se dovessi scegliere un’altra epoca storica in cui vivere e scrivere canzoni, quale sceglieresti e perché?
Tra 50 anni. Siamo in un momento di transizione in cui esistono ancora le strutture discografiche del 900 ma hanno 1/8 del denaro da investire per via dei forti cambiamenti dell’industria dei media. La condivisione della musica su internet ha cambiato solo in parte il modo in cui si scrive, non riesco a immaginare come sarà nel futuro una canzone: ognuno potrà mixarsela come vuole? Potrai ascoltarla direttamente nella versione cantata da questo o quell’altro sintetizzatore vocale? La gente non darà peso a queste cose e tutto rimarrà com’è nato negli anni 50? Le boyband sono morte, Calcutta e i Thegiornalisti sono presenze non innovative. La gente è innamorata delle canzoni pop di un certo tipo (e anche io).
Il tuo disco, COSE PESE, gioca tra sonorità intime e ritmi disco-funk catchy. Come definiresti la tua musica?
Io non riesco a capire perché, con le possibilità che ci sono oggi, un artista debba legarsi ad un determinato suono per tutti i brani. Ogni canzone ha un’anima ed è compito dell’artista darle il vestito che più le calza a pennello. Non mi vesto tutti i giorni con la camicia o con la felpa, ma mi vesto tutti i giorni (tranne a volte la domenica). Spero che la mia musica possa essere definita piacevole. Se si vuole dare un nome, diamo pop: non significa niente a livello di suono, ma spero significhi che sia popolare…
Cosa pensi del panorama it pop sviluppatosi nell’ultimo periodo? Senti di farne parte?
Come dicevo prima, penso che la gente sia innamorata delle canzoni scritte in una certa maniera, e con questo “itpop” si vuole definire troppa roba secondo me. Itpop è più una parola per identificare i gruppi che fanno i meme che un genere musicale. Come si fa a dire che Cosmo e Tommaso Paradiso fanno la stessa musica? Detto questo, mi piacciono i meme e se qualcuno vuole farli su di me li condivido pure: mi piacerebbe far parte di questa cosa per una questione di diffusione al pubblico. Chiaramente se metto la musica su Spotify è perché mi piacerebbe farla ascoltare alla gente.
Quali sono stati gli album o gli artisti che hanno maggiormente influenzato la tua musica?
Da piccolo ero in fissa con molta più musica di adesso: ascoltavo soprattutto Philip Glass e i Radiohead. Penso che certe progressioni armoniche “jazz” (da non jazzista) mi arrivino da quegli ascolti. Adesso ascolto musica con meno fronzoli possibile: Gino Paoli, Chet Baker, Debussy. Mi piace pensare e dire che adoro Kanye West ma la verità è che non mi provoca molta goduria all’ascolto. Internet mi ha inguaiato.
Raccontaci il filo logico seguito dalle dieci tracce che compongono l’album.
Non è un racconto, non sono molto discorsivo. È più tipo un disegno, sono varie immagini su un foglio più grande. Sono tutti brani nati dalle sensazioni di un ragazzo di questo tempo, con un po’ di voglia di trovare una stabilità. Sono le canzoni di uno che esce la sera a fare festa ma desidera fare un figlio.
In un mondo bombardato dall’iper comunicazione come gestisci questo aspetto dell’essere artisti?
Mi piace molto Instagram anche se non ho un grande seguito. Mi piacerebbe averlo semplicemente per poter comunicare a più persone quello che faccio con la musica. Penso comunque che sia un accessorio, magari per la Dark Polo Gang, Instagram è importante quanto le canzoni che fanno (e io ci trovo molto senso).
“Avrei un po’ da scrivere canzoni d’amore, cerco quindi ragazza d’amare anche usata ma non da buttare” è l’incipit del brano Tinder. Ti è mai capitato di innamorarti tramite queste piattaforme per appuntamenti?
No, quella canzone l’ho scritta quando è finita una relazione l’anno scorso e immaginavo come sarebbe stato essere su Tinder. Non mi piacciono molto, sono un po’ all’antica ma non ho alcun tipo di pregiudizi. Credo anche di non essere uno che possa funzionare su Tinder, se piaccio è perché mi conosci un po’ e lì funziona con le foto e le catch-phrase. Spero comunque di essere abbastanza carino.
Cosa pensi del dislivello numerico tra cantautori e cantautrici?
Non mi interessano molto i musicisti ma la musica, da ascoltatore non sono troppo colpito da questa cosa. È chiaramente una questione sociale e probabilmente un ragazzino ha più esempi di una ragazzina per “infottarsi” con la chitarra, ma le possibilità sono uguali per tutti. Se il problema è il maschilismo, è una cosa di cui soffro anche io e non di rado mi sento a disagio quando si fanno discorsi un po’ da “bro” nei backstage. Invito, per quanto possa servire, ognuno a coltivare le proprie passioni e a fregarsene di pregiudizi che io (ma mi rendo conto di non potermi immedesimare totalmente) non vedo più molto insistenti, anche perché i dischi si fanno in cameretta e non al bar.
Tour e progetti futuri?
L’anno prossimo suono in giro per l’Italia questo disco in chiave più spinta ed elettronica, insieme ad un batterista. Progetti futuri: trovare pace!
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