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Margherita Vicario, Abauè un funerale che sembra festa ed una festa che sembra funerale

Tutti giù Parterre incontra Margherita Vicario:

un funerale che sembra festa ed una festa che sembra funerale

Intervista a cura di Giorgia Groccia

 

Fuori da pochissimi giorni la danza ipnotica targata INRI che porta il titolo di ABAUE’/ morte di un trap boy, scritta dalla poliedrica Margherita Vicario, ad un anno di distanza dal suo ultimo singolo intitolato Castagne

Il brano, prodotto da Davide DADE e mixato e masterizzato da Simone Squillario, prevede la necessaria visione del videoclip, diretto da Francesco Coppola, degno del brano in questione: diveniamo spettatori inermi d’immagini forti, d’impatto, addolcite dalla figura stessa della Vicario -la quale suscita empatia e commozione grazie anche alle spiccate doti artistiche da attrice- e portate verso la distorsione e l’ipnosi, tra il sacro ed il profano, tra la modernità e le origini di terre esotiche e lontane, tra le parole e i fotogrammi coerenti tra loro.  Un lavoro ben riuscito grazie alla collaborazione di uno staff di tutto rispetto e a delle idee mai scontate che celano un’amara delusione nei confronti dell’odierno, delle tendenze nichiliste, dei soldi e delle puttane, della droga decantata delle canzoni trap tanto in voga oggi, dell’autolesionismo spacciato per effimera bellezza necessaria per essere alla moda.

Arrivati ad un punto di non ritorno, cosa ci resta? Questa la denuncia reale del brano; a primo ascolto diviene quasi necessario riascoltarlo più e più volte. È una danza macabra che spazia tra suoni trap, un cantato rap misto pop e un ritornello che suscita speranza, forse una resurrezione dalle proprie stesse ceneri, uno spiraglio di luce in un buio pesto a cui ormai siamo tutti assuefatti. Noi di tutti giù parterre abbiamo deciso di scoprire di più su questo brano e su quest’artista che ha letteralmente deciso di non stare alle regole del gioco, cambiando vesti e parlando chiaro senza troppi giri di parole. 

 

La copertina del singolo Abauè/Morte di un trap boy

Raccontaci il passaggio che ha subito la tua musica dalle sonorità fiabesche del tuo primo lavoro discografico ad oggi, con ABAUE’ morte di un tram boy.  

Sono cresciuta in questi quattro anni, prima erano sonorità frutto della mia immaginazione  e basta, ora mi sono messa a lavorare con un produttore che mi ha fornito altre nuove soluzioni. Il motivo per cui questo pezzo ha delle sonorità così alla moda è dato solo dal fatto che racconta di quel mondo lì, è un prodotto trap perché racconta dei trapper, quindi da una parte è un lavoro che somiglia ai miei lavori delle origini, un contesto teatrale e il raccontare qualcosa tramite la musica.

Foto di Matteo Lippera

 

Parlaci  del tuo sodalizio artistico con DAVIDE DADE.

Lui è il fondatore dell’etichetta INRI, io sono appena entrata in INRI e lui era molto curioso di sapere se io fossi stata disposta a cambiare sound; io avevo portato del materiale che a lui era piaciuto, abbiamo selezionato dei pezzi e abbiamo iniziato a lavorarci insieme. ABAUE’ è  arrivata per ultima ma abbiamo deciso di farla uscire per prima perché è un brano che sancisce il nostro lavoro artistico: è composta da me con la produzione molto presente, quindi è realmente la prima canzone nella quale traspare il nostro sodalizio artistico.

Un frame dal videoclip  di Francesco Coppola

Dato che il tuo ultimo singolo è pregno di significati intensi, quasi spaventosi ma certamente accattivanti, ci racconti com’è nata ABAUE’?

È nata in un pomeriggio in cui ero triste, in cui non riuscivo a capire in che direzione andare musicalmente parlando. Io scrivo molte cose diverse  l’una dall’altra. Dato che seguo molto la musica e ho notato quanto i contenuti della trap -che oggi va tanto di moda- è pregna di contenuti violenti, distruttivi ed autodistruttivi. Ho tratto spunto da un servizio televisivo, in cui un ragazzino, aveva iniziato a farsi di codeina: l’intervistatore gli aveva chiesto come aveva iniziato, lui ha risposto che l’aveva sentito nelle canzoni. Quindi in quel pomeriggio, intristita dal mondo che mi circonda, con due note di violoncello molto cupe che mi avevano ispirato, ho iniziato a scrivere il pezzo: a primo ascolto potrebbe apparire nonsense, ma in realtà dietro ogni frase c’è un mondo.

Foto di Alessandro Treves

Il tuo singolo prevede un continuo climax crescente sino ad un’apertura nel ritornello che richiama sonorità di terre lontane. Com’è avvenuta la scelta di questa tipologia di ritornello?

Ci siamo arrivati insieme: io quando scrivo un pezzo non lo consegno finito, non ce l’ho sempre tutto in testa. In questo caso c’era un ritornello e l’abbiamo trasformato in pre ritornello. Praticamente mentre registravamo, il rit è venuto a galla da solo. Dove dico “alla frontiera canteremo ABAUE’” era un’immagine forte, fatta di persone che sbarcano dopo giorni chiusi ed ammassati in una nave, che danzano felici. Abbiamo deciso che quello, senza ombra di dubbio, doveva essere il ritornello.

Com’è nata l’idea di un videoclip così d’impatto?

L’idea è nata da me, avevo visto dei video di alcuni funerali ghanesi, sono funerali stupendi dove si balla e si canta. Ho dato degli spunti al regista, il quale ha fatto un lavoro di limatura. Abbiamo ambientato tutto come  fosse una festa trap, o meglio una festa che sembra un funerale ed un funerale che sembra una festa.

Prima che uscisse il singolo quali sono state le tue sensazioni/paure/aspettative?

Paure non molte, l’idea di cambiare stile e forma non mi preoccupa anzi, penso che gli artisti debbano farlo molto più spesso, proprio per stupire il proprio pubblico e quindi non andando sempre sul sicuro. Questo dovrebbero farlo non solo gli artisti ma anche chi produce, e le grandi etichette. Questa tendenza a ripetersi non porta davvero da nessuna parte. Per quanto riguarda le aspettative, spero che il brano appena uscito abbia ancora vita. Il pubblico che già mi conosce ha apprezzato molto perché hanno notato fossi sempre io. Hanno apprezzato anche gli addetti ai lavori, i colleghi e una nuova fetta di pubblico.

Foto di Matteo Lippera

Cosa pensi della nuova  scena musicale italiana? Anche in relazione al dislivello numerico tra cantautori e cantautrici di spicco.

Questo è un momento salutare per la canzone d’autore, c’è stata una trasformazione due, tre anni fa, praticamente un giro di boa generazionale: artisti come Calcutta, Thegiornalisti hanno avuto un impatto nazionale, c’è stato un cambiamento di leva, un cambiamento anche stilistico. È un buon momento e sono felice di viverlo così da vicino. È anche vero che la questione femminile è un po’ spinosa: non ci sono troppe artiste, forse perché si tende ad andare sul sicuro, come dicevo prima. Le donne si contano sulle dita di neanche una mano, è un grande dilemma. Forse questa reazione deriva dalle artiste stesse che non danno del loro meglio, e dal pubblico che andrebbe educato. Il genere più ascoltato oggi è la trap, genere musicale tendenzialmente misogino. Se davvero questi artisti vivono come cantano nelle canzoni mi dispiace per loro, spero siano persone normali nel privato che si innamorano e via dicendo. Nell’arte noi donne spesso veniamo messe da parte, ma è l’inizio, ci siamo lavorando. Le donne sono propense verso il cambiamento e la ricerca, ma forse hanno più paura e credo meno in loro. Ci sono ottime interpreti, ma qui dovremmo parlare di contenuti.

Alessandro Treves

Progetti futuri e tour.

Non posso svelare nulla. Sono nelle abili mani di DNA concerti, sono sicura organizzeranno qualcosa di molto bello: staremo a vedere! Il mio obiettivo è quello di fare dei live molto divertenti, non posso dire altro!

 

 

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