Esce venerdì 5 maggio 2023 su tutte le piattaforme digitali il nuovo album del progetto solista di Giovanni Cosma, in arte Moonari. Il disco, già anticipato dai singoli “Nostalgia” e “Città Del Futuro“, segna un nuovo capitolo per il cantautore che emerge dall’underground romano presentato la sua autobiografia musicale che si compone di debolezze, trasferte all’estero, silenzi e relative soluzioni (meccaniche, in questo caso). Dedicato a chi ha imparato a stare bene, nonostante tutto.
L’ordine e il filo conduttore di questo disco sono estremamente importanti. Come con “OK Computer” dei Radiohead (“scusa Thom il paragone“, commenta Moonari), i brani partono in un modo, finiscono in un altro e vengono sintetizzati sul finale con l’ultimo pezzo, creando di fatto un concept album: l’inizio di qualcosa di nuovo.
Noi non potevamo lasciarcelo sfuggire, e abbiamo parlato con lui di percorsi da solisti, del suo nuovo disco e di vulnerabili.
•Hai voglia di raccontarci il tuo precedente percorso musicale non da solista? Che cos’è cambiato fino ad ora?
Certo! Cerco però di essere sintetico altrimenti andrei veramente lungo. Il mio primo progetto era inteso come gruppo (ci chiamavano Base), band in cui ho cominciato a scrivere i primi brani, tutto rigorosamente in inglese (avevo un’avversità con l’italico idioma, al tempo). Poi nel tempo sono cambiato e cresciuto, sia musicalmente che come essere umano, e ho cominciato a concepire in maniera diversa il mio progetto e tutto ciò che gli ruota intorno.
Quello che veramente è cambiato fino ad oggi è stato lo sviluppo della capacità di saper sacrificare delle idee, cosa che prima non avevo, e infatti i brani ne risentivano. Il dono della sintesi! Poi tante altre cose, come l’accettazione della mia lingua natìa anche in musica.
•È vero che sei nato debole? Dall’ascolto del tuo disco, si arriva quasi alla conclusione che i deboli forse sono in realtà più forti. Come diceva Vasco Brondi, è un superpotere essere vulnerabili.
Io sono nato debole come lo sono tutti, in qualsiasi maniera; ciò che però fa la differenza è l’ammissione delle proprie incapacità. Nella debolezza ci si reinventa e ci si conosce meglio, o almeno, a me è successo così per molte mie fragilità.
•Ci racconti più nello specifico della tua battuta d’arresto dovuta ai tuoi problemi di udito? Lasciare la musica è mai stata un’opzione?
Certo. Quando vivevo a Londra ho preso un virus che mi ha purtroppo eroso il nervo acustico, e ahimé trattandosi del cervello e delle orecchie, è molto difficile recuperare, si possono solo mettere delle toppe (in questo caso gli apparecchi acustici). Ho dovuto interrompere molto di ciò che stavo facendo per poter tornare in Italia (dove poi sono rimasto) a fare una quantità enorme di esami, visite e test dell’udito. È stato un periodo molto tosto per me ma lasciare la musica non è stata mai un’opzione nella mia vita. Quando ho cominciato ad accusare il calo dell’udito, che peggiorava di settimana in settimana, ho valutato anche l’autoeliminazione.
Per me non suonare e non sentirci più equivale ad andare a morire.
•Quanto il suonare dal vivo è qualcosa che si lega inevitabilmente al tuo disco? O, in altre parole, il tuo album esiste anche al di là di una dimensione live?
Per me suonare dal vivo è tutto. Anche se registrare in studio è un momento intenso e meraviglioso, il mio progetto e i miei dischi passati e futuri sono inscindibili dal live. E se verrete il 29 giugno al mio release party all’Eur Social Park (Roma) lo vedrete 🙂
•Qual è la tua percezione della musica indipendente? Ce la faremo?
Sento molta competitività dove non dovrebbe esserci, e credo sia malsano. Ma finché c’è Andrea Laszlo De Simone sì, ce la faremo 🙂
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