L’album d’esordio.
Recensione a cura di Giorgia Groccia
Ivy è il primo disco dei Pain is a Dress, uscito l’11 ottobre 2019. L’album è composto da 11 tracce più un intro scritto e pensato come una sorta di prologo per preparare l’ascoltatore al viaggio all’interno delle composizioni.
Il nome è un omaggio a Kate Bush e alla sua canzone Under the Ivy: l’edera, in questo caso, assume un significato di protezione, un posto in cui emanciparsi e vivere d’arte, lontano dal mondo comune, così complesso e disordinato per una mente artistica. Un posto in cui vivere in solitudine e nascosti, dove la creatività prende il sopravvento.
Ivy stringe dentro sé la consapevolezza che l’arte ancora è sempre splendidamente incompresa. Ogni comune pulsione umana viene tradotta e decodificata dall’artista che, inspiegabilmente, riesce a tratteggiare la decadenza e le pene d’amore come fossero splendida poesia.
Ogni traccia dell’album è un microcosmo di suoni raffinati e pungenti, All I Know è un grido disperato, una richiesta di soccorso. Un letto vuoto, troppo grande, un contenitore di fallimenti e frustrazioni. Ginevra parla della partenza di una carissima amica. Lost in the Garden, il giardino appunto, è la metafora delle spine e dei rovi che impediscono alla vista di osservare l’orizzonte, il diverso. È un brano che parla del panorama politico e sociale italiano degli ultimi anni.
The Other è un testamento e parla della passione per l’altra vita, intesa come liberazione e argomento da scoprire, da approfondire, da conoscere. Love Ruins Everything parla del desiderio di conoscere l’amore in tutte le sue forme, il quale però è bloccato dalla sofferenza provocata dalla tragica fine di una relazione. Grey Bridge parla di insoddisfazione. My Pain is a Dress è la canzone che dà il nome al progetto, il vestito del dolore, l’arbitrio di indossarlo o riporlo a nostro piacimento. White Dove è il desiderio della fine di una vita piacevole, dopo aver impiegato tutte le proprie forze in ciò che più ci fa stare bene. Ready for the Dawn è il desiderio di essere pronti ad amare, pronti a mettersi in gioco, pronti a farsi male.
For my Father parla del rapporto difficile con un genitore e For my Lovely Grandma è un’ode a tutti quei nonni che ci hanno sempre amato, cresciuto e sostenuto.
L’album è strutturato e completo a livello sonoro, a livello testuale, e soprattutto è un lavoro discografico con un’enorme anima pulsante. L’immaginario che inevitabilmente si compone attorno ad ogni brano è dettagliato, nulla è casuale, non vi sono sbavature o imprecisioni, piuttosto trapela un turbinio di sensazioni contrastanti che viaggiano a filo d’acqua su un orizzonte dal retrogusto vintage che giunge a noi con consapevolezza. I Pain is a Dress hanno quel quid che bisognerebbe cercare in ogni artista: la magia, la sperimentazione e la tecnica, il dolore tradotto in arte.
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