Un viaggio verso una nuova forma di polimorfismo sonoro.
Articolo a cura di Umberto Matera
L’8 maggio è uscito Hidden Chamber, primo LP del musicista e sound designer Alèfe, pubblicato per Vulcano. Ma prima di partire per questo viaggio parliamo un po’ del nostro Caronte sonoro.
Alèfe è di casa a Londra ma il suo viaggio parte da Amsterdam, capitale di quei Paesi Bassi che si confermano vera e propria fucina di produttori con idee originali e ben curate. Nel corso degli anni le sue composizioni hanno accompagnato installazioni multimediali, spazi culturali e progetti audiovisivi come Macro di Roma, l’OpenSound di Matera (per Matera capitale europea della cultura) e ne La Capsula di BASE a Milano. Ha collaborato come musicista e producer in altri progetti, come ad esempio Tersø e Mr Everett.
Nel suo bagaglio a mano musicale troviamo artisti per lo più nordici e inglesi, quali Björk, Andy Stott, Mount Kimbie e Fever Ray (The Knife), che Alèfe annovera fra le sue maggiori influenze, individuabili nelle tracce del suo Hidden Chamber.
Una preview del viaggio l’abbiamo avuta con Hands, primo singolo estratto dall’album.
“Hands sono le mani che battono su tavole di legno, processate e filtrate fino a comporre un pattern ritmico preciso. Mani che premono i tasti dei controller per scandire il beat, e delle tastiere per liquefare i bassi”.
Il viaggio in 10 tracce dell’autore sembra volerci raccontare i cinque anni di storia, temporale e geografica, del suo progetto solista; si parte dal suo home-studio e si passa per tutti i progetti collaterali a cui ha partecipato, formando così la sua personalissima identità.
Si tratta di brani per lo più up-tempo che creano un’atmosfera da club, ma non di quelli in cui vai per solo divertirti muovendo il fondoschiena e riempiendoti di Gin Tonic.
È un viaggio che ti permette visitare tanti club, ognuno con uno stile diverso e stimolante, che riescono a regalarti a fine serata un’esperienza definibile psichedelica o, ancor meglio, onirica.
Ascoltando brani come Blossom, Gregopoly e Yma ad occhi aperti potresti sentire nostalgia di quelle serate passate in quel locale che è garanzia di qualità musicale. Si, proprio quello dove andavi ogni fine settimana con i tuoi amici, ma la vera magia avviene chiudendoli.
Vasti spazi, magari l’aurora boreale, quei colori tipicamente scandinavi che, nonostante siano freddi, riescono a smuovere in te qualcosa che non saprai spiegarti ma che ti scalderà.
Si percepiscono canti di sirena, emulati sapientemente attraverso campionamenti vocali ipnotici. Viene voglia di muoversi grazie a quella ritmica fondata su musica elettronica e bassi pulsanti.
Ma arriva anche il momento di allentare un attimo grazie a Shake That Dog, l’unica traccia del disco; parte down-tempo per poi crescere e accompagnarci verso l’ultima traccia, Wayout: una simulazione tetra dell’evasione dalla rigidità e dalle convenzioni che la musica elettronica formalizzata ha creato.
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