È finito?
Sicuri?
Possiamo tornare a parlare di figa, immigrati e calcio?
Come? Anche a Sanremo si è parlato di figa, immigrati e calcio?
Ah. Allora stiamo diventando monotoni. Ti credo che al cinema escono solo remake.
Vabbè. Rimane però che la settimana di Sanremo è asfissiante. O lo guardi e ci sei dentro fino al collo, o non lo guardi ma tanto lui ti circonda da tutte le parti come un blob e, volente o nolente, qualcosa senti. Notizie vaghe. Notizie dal fronte. Come in guerra.
Oh, chiariamoci, non è una scelta politica o ideologica, né tanto meno è per fare il più figo di tutti o l’alternativo. Non guardi Sanremo perché semplicemente non ti piace. Non lo guardi per lo stesso motivo per cui la Nutella la mangi e i cavolini di bruxelles no. Non hai alcun pregiudizio filosofico nei confronti dei cavolini di bruxelles, è che semplicemente non ti piacciono.
Fatta questa doverosa premessa, il festival di Sanremo si avvicina come si avvicina la peste. Piano piano tutti iniziano a parlarne. Te non sai di preciso quando inizia, ma sai che è nell’aria, che sta arrivando.
Poi, finalmente, comincia la piaga. E li vedi i primi contagi, i primi post su Facebook: commenti sarcastici al vetriolo su una canzone o su un outfit, perché siamo una generazione di opinionisti, ferocemente addestrati al giudizio da decenni di programmi tv basati su giudici e giurie.
Attività diabolica quella del giudizio, perché più giudichi gli altri, più dai peso al giudizio degli altri su di te, perdendo la tua libertà e il tuo proprio sentire.
È un peccato in cui cadiamo tutti, nessuno escluso.
La piaga avanza, i commenti si moltiplicano e arrivano anche i video dei The Jackal con le solite gag su Beppe Vessicchio. Tutto carino, tutto nella norma, ma il peggio deve ancora venire.
E infatti arriva l’ondata di trash: inizia a rimbalzare ovunque quest’immagine mitologica di ‘ste tre sirene dai capelli fluo. Vanoni, Pravo, Bertè. Il trionfo della non accettazione dell’età. Corpi vecchi e gonfi di botulino. Cadaveri miracolati dalla non morte. Oggettivamente grottesco. Meme facili. Grasse risate.
Dopo il trash, è il momento del colpo basso: “Cristina D’Avena all’Ariston conquista i social.”
Cristina D’Avena?! A Sanremo? Ma davvero? L’ha fatta E’quasi magia Johnny? No? Neanche un pezzetto di Robin Hood? Niente? E allora che cazzo ci è andata a fare a Sanremo? Cosa?! A duettare con Shade? Quello che cantava Bene ma non benissimo? Cazzo c’entrano insieme? Bah. Rai sprecona.
E mentre sei lì a pensare che sputtanando Cristina D’Avena stanno praticamente sputtanando la tua infanzia, arriva un’altra epifania: “Striscia la notizia diche che la canzone di Achille Lauro in realtà parla di drog…”
Aspetta, Achille Lauro è a Sanremo?!
Sapevi che sarebbe stato un po’ il festival dell’Indie ma… Achille Lauro a Sanremo?! Sembra di stare a Thoiry? Prima ti fai i tatuaggi in faccia e poi vai a Sanremo? Allora Young Signorino domani va alla Prova del cuoco? Quindi la vostra non è trasgressione, neanche ribellione, neanche voce fuori dal coro. È solo la solita voglia di farsi vedere. Pure dalle nonne che guardano la Rai. Una voglia di farsi vedere talmente gigantesca e tragica che pure i tatuaggi in faccia vi siete fatti, per poi andare a Sanremo.
Però il suo pezzo, Rolls Royce, è bello. O meglio. Sembra bello ma è cantato male e arrangiato peggio. Perlomeno è l’unico orecchiabile tra altri in gara che hai sentito en passant. L’unico che un po’ ti rimane.
Nel flusso generale ti capita di sentire anche la relativa cover realizzata da The Andrè e… Capolavoro! Assoluto. Serio. Senza sarcasmo. Con quella voce e quella chitarra pizzicata, Rolls Royce di The Andrè assume diventa epica, una roba da titoli di coda di film generazionale. Insomma ti entra in testa e la mandi in loop per giorni.
Si arriva a sabato sera: la gran finale di Sanremo. Te ovviamente te ne sbatti e vai a cena fuori con gli amici e poi a ballare.
Ti svegli domenica mattina con un mal di testa da alcol scadente e scopri che Sanremo l’ha vinto Mahmood.
Ah, bello.
Chi cazzo è Mahmood?
Non solo non sai assolutamente chi sia, ma durante la settimana in cui la tua bacheca e le tue gonadi sono state invase da commenti e post su Sanremo, nessuno l’ha mai nominato ‘sto tizio.
La cosa ti sembra bizzarra.
Poi ti ricordi dei Jalisse e capisci che in realtà è tutto in perfetto stile Sanremese.
Per curiosità ascolti un pezzetto della canzone: sembra cantata da un citofono.
Vabbè ‘sticazzi.
Almeno, pure quest’anno, Sanremo se lo semo levati dalle pall..
E invece no!
Perché esplode il polemicozzo e ci si buttano tutti dentro: politici, opinionisti, maschere dello spettacolo e cassamortari. Non sulla questione musicale, figurati, quella a Sanremo è sempre stata secondaria, ma sul fatto che è egiziano e non italiano, e che doveva vincere Ultimo (e chi è Ultimo?) e altre menate simili.
E ovviamente, a seguire in scia, tutto il popolo schierato da una parte o dall’altra.
Circa vent’anni fa successe qualcosa di molto simile quando Denny Mendez vinse Miss Italia. L’unica differenza è che Denny Mendez era una figa stratosferica, mentre questa canzone fa oggettivamente cagare.
L’importante però è che, ancora una volta, la narrativa popolare abbia prodotto una serie di questioni totalmente vuote, atte a dividere le persone in fazioni per farle litigare tra loro e tenerle occupate su diatribe che non spostano di una virgola la quotidianità delle loro vite.
Ma va bene così, l’intrattenimento è fatto appositamente per distrarre la gente.
Quindi ricominciamo con calcio, figa e immigrati, che ci sono mancati.
Che tanto lunedì mattina, Mamhood o Ultimo, siamo comunque chiusi in un ufficio a dimostrare che siamo bravi e meritiamo di più.
Sempre a far vedere.
Sempre a giudicare e ad essere giudicati.
E intanto il mondo rotola.
E sempre il mare luccica.
Rolls Royce. Rolls Royce. Rolls Royce.
Articolo a cura di Marco Improta
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