L’eterna lotta tra forma e sostanza.
Di Davide Lucarelli
L’altra sera ho intavolato un’accesa discussione con mia madre riguardo Lucio Battisti. Lei è una grande fan del ricciolone di Poggio Bustone e si è alquanto inalberata quando le ho detto, ingenuamente, che secondo me il compianto Lucio era un grande artista, ma un po’ scarso in fatto di intonazione e di timbrica vocale. D’altronde, non è colpa mia se ho iniziato ad apprezzare “Giardini di Marzo”, “Il mio Canto Libero” e moltissimi altri successi, solo quando li ho sentiti interpretati da altri. Questo però mi ha fatto riflettere. Quanto conta, in effetti, l’abilità canora di un artista e l’orecchiabilità di una canzone rispetto al testo ed all’intensità del contenuto che si intende trasmettere?
No no no, so già che qualcuno mi verrà a dire “Eh dipende dal genere”, “Eh dipende dalla stagione”, “Eh dipende da come mi alzo la mattina”; chiariamoci: stiamo parlando di musica leggera italiana, quindi una materia in cui melodia e testo sono sicuramente preponderanti rispetto a tutto il resto.
Ciò premesso, vado a narrarvi la mia riflessione.
Spesso, soprattutto con l’avvento dei talent, ho sentito pronunciare la frase “con quella voce potrebbe cantare anche l’elenco del telefono” e mi sono chiesto: ma è davvero questo che vogliamo? Vogliamo davvero qualcuno che è semplicemente uno strumento musicale solista nell’armonia della canzone? Vogliamo davvero che le emozioni siano trasmesse solamente dalle note? Ebbene la mia risposta è no. Non per niente, per quanto mi riguarda, i decenni bui del nostro pop sono stati quelli a cavallo del nuovo millennio, secoli in cui ho vissuto la mia adolescenza a pane e musica straniera, condita solo da qualche cantautore d’altri tempi, un Domenico Modugno, un De André e da qualche sporadico rapper nostrano. Questo semplicemente perché il nostro pop aveva perso i contenuti a scapito di grandi vocalità e orchestrazioni fini a se stesse, perdendo quel mordente necessario ad arpionare il cuore di anime emotive come quelle giovani e sognanti dei ragazzi.
Ed ecco, ora, qual è stato, per quanto mi riguarda, il merito di quello che una volta veniva chiamato indie e che ora, a tutti gli effetti è il nuovo pop, è stato lo spostamento dell’attenzione dalla forma, nuovamente al contenuto, dalla mera espressione tecnica, all’emozione vera, provata e trasmessa. Perché, parliamoci chiaro, non è che Calcutta o Gazzelle abbiamo chissà quale tecnica canora, non è che Coez o Vasco Brondi abbiano le corde vocali di Laura Pausini, non mi pare proprio che Colapesce o Niccolò Contessa abbiano l’ugola di Bocelli, eppure, con una bella melodia e le parole giuste, riescono a trasmettere il loro mondo, le loro nude impressioni, la loro verità. Ed è così che si conquistano le anime pure dei giovinetti.
Quindi, cosa concludo? Che ancora una volta mamma aveva ragione. Non serve necessariamente cantare bene per poter trasmettere emozioni, serve in primis avere qualcosa da dire ed esere in grado di trasmetterlo. Certo che io continuerò a preferire le cover, rispetto al Battisti originale.
P.s. Non volermene, cara Claudia (Levante n.d.r.), non ti ho menzionata solo perché tu trasmetti emozioni coi testi e canti pure bene… non potevi farmi da esempio in questo caso, ma sei sempre nei nostri cuori indie della prima ora <3
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