di Giorgia Groccia.
VANBASTEN è un progetto di Carlo Alberto Moretti, trentenne di Montesacro appassionato di tacchetti, parole e gite in gommone sul Tevere. E venerdì 26 ottobre è uscito il suo nuovo video e singolo. “PALLONATE”, brano dal beat ipnotico, synthpop, con delle sfumature trascinanti, è un ritratto dettagliato, una fotografia abilmente scattata da un occhio attento, critico, il quale ricuce non solo le immagini ma anche le sensazioni provate, utilizzando la lingua italiana per creare giochi di luci ed ombre splendidamente visibili e tangibili. VANBASTEN schiva, s’abbassa, balla sotto la pioggia, mette a segno un brano immediato, tagliente e feroce, diretto come un pugno, come la rabbia dei quartieri popolari. Non ci sono attenuanti, qui la verità ha il sapore di una pallonata in pieno volto. Il singolo è disponibile su Spotify, Apple Music, Deezer, Amazon e non solo.
La musica del giovane cantautore è intrisa di particolari sporchi, grigi quanto i muri delle palazzine della borgata, i tossici agli angoli delle strade, le chiese, oggetto di facciata; cercando senza realmente mai trovare Dio nelle cose, nelle persone, nel tempo trascorso ad osservare.
VANBASTEN, tra scarpini, chitarre e un’energica penna che non si risparmia, inizia a scrivere nel 2011, come frontman dei Poveri Noi Band. Continua il suo viaggio nell’età della rabbia e, a ventisei anni, girando una webseries e un videoclip, organizzando concerti e tornando a scrivere canzoni, senza trovare pace. Gli basta una sala prove per far nascere VANBASTEN e, di conseguenza, il primo EP. Parallelamente pubblica libri sulle vite degli altri.
Oggi scrive, forse con un’identità più definita, ma con la stessa grinta e gli stessi occhi di chi questo lavoro l’ha scelto per una necessità interiore più forte, molto più forte delle facciate, delle svariate chiese, degli orpelli, delle tendenze, delle persone che seguono cieche la moda e le superfici semplici.
Noi di Tutti giù Parterre abbiamo chiacchierato con VANBASTEN, ecco cosa ci siamo detti:
Come mai hai intitolato il tuo singolo PALLONATE?
Semplicemente mi piaceva l’idea di un pezzo con questo titolo; solitamente il titolo dei miei brani è la parola che funziona di più contenuta nel testo. Pallone è tipo il manifesto di tutto il brano.
A che età hai iniziato a scrivere le tue canzoni?
Ho iniziato molto tardi, a ventidue, ventitré anni; prima giocavo a calcio, quindi non avevo queste velleità. Ho iniziato rappando, ho conosciuto persone che mi hanno fatto ampliare gli orizzonti, mi sono chiuso dentro una casa di campagna con tre amici e di li è nato Vanbasten.
Sappiamo che sei molto legato al calcio. Quali sono le tue passioni oltre musica e sport?
Come tutti i ragazzi ho investito tempo in giovane età nel calcio, quando la gente suonava le chitarre io ero fuori a rubargli i caschi al motorino! Non li vedevo di buon occhio, è stato un innamoramento lento. Ma oltre la musica non avrei tempo adesso per altre passioni.
Nel singolo pallonate vi è un continuo richiamo dissacrante verso la religione. Che rapporto hai con la fede?
Questa è una bella domanda. Io mi sono sempre dichiarato ateo, ma negli ultimi anni sono parecchio incuriosito specialmente dal lato “esoterico” della faccenda. Ogni volta che mi scontro con questi argomenti mi rendo conto della potenza che hanno. Sposta molto di più la religione di altre cose, anche nei libri. È una cosa inspiegabile. Nel brano in sé la religione viene fotografata: io abito in un paese con tre chiese, è istantaneo, le vedi subito. Nelle borgate funziona ancora così, intorno alle chiese girano anche altre attività che includono anziani, bambini, un po’ tutti: in determinati orari confluiscono tutti lì, in altri orari no. Ci sono dei momenti della giornata in cui essere religiosi in altri no, è una ritualità.
Se dovessi scegliere un artista del passato ed uno del futuro, un emergente per intenderci, chi sceglieresti e perché?
Del passato io sono legato a Rino Gaetano per questioni geo localizzate. Sono nato nel suo palazzo, i miei erano in comitiva con lui, quindi ho sempre avuto la sua incombenza addosso; quando ho iniziato a scrivere le canzoni avevo quest’ombra gigante addosso. Una sorta di mitomania che però mi ha dato una bella forza. Tra gli artisti emergenti non saprei proprio. Non voglio sembrare strano ma non mi interessa, c’è troppo gioco in questo: la gente al posto di scrivere le canzoni pensa a guardare nel giardino del vicino e seguire le tendenze. Secondo me non c’è un artista emergente di vero rilievo.
In strada da solo, la pioggia, le cuffie ed il cappuccio sono tutte cose che influiscono e contaminano il tuo estro artistico: da cos’altro trai ispirazione per scrivere?
Io traggo ispirazione dalle persone che stanno male, se sto male io tanto meglio. Ma anche dalle esperienze degli amici o ancor di più dagli estranei, su cui posso ricucire i dettagli, anche perché se sono persone vicine a me tendo, per onesta intellettuale, a restare fedele alla realtà… preferisco attenermi, mi sento legato. Mi servo delle emozioni che mi girano attorno, delle emozioni che vedo. Se avessi punti di vista più sobri, più manieristici e meno banali lo farei anche, ma io vivo e scrivo delle persone normali.
Cosa è cambiato dal Carlo di Poveri noi Band ad oggi?
Carlo di Poveri noi Band era un pazzo. Aveva un bisogno di esprimersi allucinante, ogni mezzo pezzo scritto veniva istantaneamente pubblicato. Nel primo live suonavo la chitarra da sei mesi. Sistemai una serata al Piper in grande stile, perché organizzavo lì i concerti e nel mio quartiere conoscevo tutti, quindi, nonostante non fossimo già famosi, fu un bel sold out! Ero un pazzo.
C’è un’attinenza tra il tuo impiego come ghostwriter e la scrittura delle canzoni?
Non vi è attinenza, è un lavoro. Quindi mi permette di vivere e mantenermi. Ho tante canzoni scritte, ma le tengo li, ho deciso di pubblicarle un po’ alla volta. Invece con il ghostwriting ci lavoro e ho delle scadenze, è abbastanza pesante ma anche divertente.
Progetti futuri e tour?
È tutto un divenire, ho intenzione di sverniciare i locali d’Italia. A me i dischi non interessano, ho tracce per farne due di dischi, ma ho iniziato con le band e l’attitudine è rimasta quella: voglio suonare. Ho svariati brani con sonorità differenti. Ho sempre preferito avere una coerenza nelle liriche, nei testi, ma non voglio adoperare sempre gli stessi suoni, altrimenti mi annoierei troppo.
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