“Via Vela” è il nuovo EP del cantautore milanese Mattia Faes, una manciata di canzoni che nascono domestiche ma che si spingono all’aria aperta, alla ricerca di nuove storie e nuovi incontri.
Il titolo dell’EP è un riferimento alla strada dove l’autore ha passato la sua adolescenza, uno spazio e un tempo ben definiti che però rimandano al viaggio, al lasciarsi trasportare altrove dal vento. Nonostante la forte connotazione autobiografica queste canzoni sono le prime in cui Mattia non parla solo di sé ma in cui racconta storie di altri, come se si affacciasse dalle finestre di quell’appartamento per osservare dall’alto la traiettoria dei passanti.
Il suono, ricercato artigianalmente dalla stesso Mattia che ne ha curato tutte le fasi di realizzazione, nasce da una classica struttura pop-rock chitarra, basso e batteria. A nobilitare questo bedroom pop, non lo-fi ma totalmente home recorded, è la sovraincisione di alcune parti per archi. La viola e il violino suonati da Archimede De Martini aggiungono personalità e colore agli arrangiamenti e avvicinano il lavoro a quel Chamber Pop alla “Pet Sounds” (Beach Boys) famoso per prendere in prestito strumenti dalla musica colta.
“Via Vela” nasce per essere il primo capitolo di una trilogia pensata per esplorare diverse sonorità, tre diverse incarnazioni degli stili e dei suoni amati da Mattia durante la fasi della sua crescita musicale, perché l’unico modo per rimanere fedeli a se stessi è cambiare costantemente. L’EP verrà stampato in un’edizione limitata in tape da Non Ti Seguo Records.
Leggi l’intervista.
Ciao Mattia, dove sei e come stai?
Ciao! Mi trovi a Losanna in questo momento, ospite da un’amica con la scusa di sentire il concerto di Courtney Barnett, indie-rocker australiana che passava di qui in tour. Sono davvero felice di ascoltare musica dal vivo dopo due anni di stop. La scorsa settimana sono stato in trasferta a Roma per ascoltare gli alt-J, esperienza pazzesca, per me uno dei concerti più belli di sempre. Viaggiare, conoscere persone, scoprire musica nuova sono nutrimento per l’anima. Ci voleva proprio questo ritorno alla vita!
Nei 4 pezzi di questo EP si nota subito che la tua è una musica per certi versi senza tempo, difficile da collocare fra cantautorato più classico e varie contaminazioni, tu dove collochi la tua musica nell’attuale panorama musicale?
La nostra generazione è cresciuta con libero accesso alla storia della musica senza limiti temporali o geografici, tutto a portata di un click; capita spesso che giovani artisti cresciuti in questo calderone interculturale producano musica che sfugge alle definizioni. Da piccolo in casa mia si ascoltava tanto cantautorato italiano (Battisti, Dalla e Vecchioni scelti dalla mamma) mentre papà la domenica ascoltava vinili di jazz (Keith Jarrett, Bill Evans e Jim Hall…). Io giravo con audiocassette di Alex Britti e compilation di Cat Stevens e David Bowie. In auto ascoltavamo Bob Marley a tutto volume e la sera mi addormentavo con in sottofondo il live a Umbria Jazz di Joao Gilberto. Poi ho cominciato a studiare chitarra classica in Conservatorio dove ho scoperto Villa-Lobos, Brouwer, Castelnuovo-Tedesco e in parallelo mi sono innamorato del folk inglese con le schitarrate acustiche e le accordature aperte di Nick Drake e John Martin. Era inevitabile che il mio vocabolario fosse un misto di tutti questi linguaggi. La mia musica oggi si inserisce sicuramente nella corrente dei cantautori italiani (Niccolò Fabi è il mio prefe, e ho ascoltato tanto Colapesce negli ultimi anni), ma strizza l’occhio all’indie internazionale un po’ rockeggiante e fai-da-te di Mac DeMarco, Andy Shauf e Dirty Projectors.
A chi si rivolge questo EP, c’è un messaggio di fondo che collega queste 4 canzoni?
Questo piccolo album è per tutte le persone che ricercano musica fresca e libera nell’espressione. È un indie-folk, pop-rock internazionale ma cantato in italiano, un lavoro totalmente indipendente e dunque svincolato da qualsiasi pressione esterna: ho fatto la mia musica cercando di farla suonare come la immaginavo io. Non c’è un unico messaggio, i testi e le storie che racconto spaziano dal romantico al quotidiano, dal serio al giocoso; è piuttosto un’identità sonora a collegare le quattro canzoni. Se proprio vogliamo trovare una morale a questa storia potrebbe essere vivere provando tutte le emozioni fino in fondo, mettendosi sempre in gioco ma senza mai prendersi troppo sul serio.
“Via Vela” è un lavoro molto artigianale che hai “autoprodotto” nel vero senso della parola andando a seguire tutti i passaggi tecnici di registrazioni e mix, da dove deriva la tua passione per la registrazione?
La mia passione per la registrazione fai-da-te nasce da una duplice esigenza. Il primo è unaspetto puramente pratico: avevo necessità di continuare a registrare le mie canzoni limitando i costi (affittare uno studio di registrazione e pagare tecnici e produttori senza una grossa etichetta alle spalle è davvero impegnativo) e poi volevo farlo durante un periodo pandemico in cui uscire di casa non era comunque un’opzione. Il secondo aspetto, decisamente più interessante, è quello creativo: volevo che dalle casse uscisse la mia musica così come suonava nella mia testa. Collaborare con altri tecnici e produttori è fondamentale per crescere, e non ho mai veramente smesso di interagire con altri musicisti. Però mi trovavo a un punto della mia crescita artistica e personale in cui avevo chiara l’immagine che volevo dipingere, e cedere il pennello ad altri pittori cercando di raccontare loro l’immagine che vedevo sulla tela non era un’opzione. Scrittura, arrangiamento, e registrazione sono state parti di un unico processo creativo. La scelta del riverbero è una scelta artistica, disegna il panorama sonoro all’interno del quale abita la canzone, e il panning degli strumenti è la posizione dei personaggi sulla scena, ne determina l’interazione. La quantità di compressione applicata e voce e chitarra fa risaltare oppure nasconde determinati aspetti della performance, e tutti questi elementi influenzano direttamente il viaggio emozionale di chi ascolta la canzone nella sua forma finale. Inoltre produrre le mie stesse canzoni mi ha obbligato ad ascoltarle come fa un ascoltatore esterno, le ho dovute smontare e rimontare con sguardo critico e sono convinto che questo ulteriore passaggio mi abbia aiutato a rifinire alcuni dettagli della scrittura, così in un certo senso il cerchio autore-produttore-autore si chiude.
Biografia.
Mattia Faes è un cantautore e polistrumentista nato e cresciuto a Milano, dopo un’infanzia tra i dischi jazz e bossanova del padre, a sette anni prende in mano una chitarra acustica e negli anni non la poserà mai. Dopo un diploma di Conservatorio in chitarra classica si perde in una passione senza tempo per il folk anni ’70 di Nick Drake e inizia a sperimentare e a “scordare” la chitarra rompendo le imposizioni della propria istruzione e iniziando a scrivere le prime canzoni. Prima in inglese e poi in italiano la sua scrittura si fa sempre più trasversale e personale, fra pop, rock, folk e cantautorato i suoi brani sono delicati ed estroversi, leggeri ma sempre significativi. Mattia ha un approccio totalizzante alla musica: di giorno la insegna nelle scuole mentre la sera scrive, compone, si registra e si mixa nel suo home studio dove ha il controllo completo sulle sue canzoni. Nel 2015 ha registrato il suo primo album “equilibri” ora disponibile soltanto in CD. Negli ultimi anni pubblica una manciata di singoli sparsi in attesa di lanciarsi di nuovo su di un lavoro dal respiro più ampio.
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